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Ravenna, 1 marzo  2005


di memoria, cultura e molto altro...

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"Nessuna idea, nelle parole e nei motivi"
Così Ennio Flaiano giudicava il Festival di Sanremo del 1968...e quello di quest'anno?

Per fortuna c’è il festival di Sanremo, sennò in questo periodo non saprei proprio cosa scrivere, a differenza dei miei colleghi della carta stampata e televisiva che invece riempiono colonne su colonne coi discorsi sul freddo, ovviamente denominato “polare”, come se un inverno freddo dovesse fare notizia.
Da che mondo è mondo l’inverno è sempre stato freddo e dunque siamo nella norma. Siamo nel 2005, proclamato “anno mondiale della fisica”, ma vuoi mettere la “fisica” con “Sanremo”? Nemmeno per sogno, meglio Sanremo, una manifestazione canora che occupa tutta una settimana costringendo gli italioti a lunghissime maratone. Ma per fortuna il Festival consente anche di fare un po’ di cultura e mentre tutti cospargono di incenso la manifestazione io voglio andare controcorrente passandovi queste considerazioni che il grande Ennio Flaiano scrisse nel 1968 e che si possono leggere in “Diario degli errori” e che io sottoscrivo in pieno “Ho visto alla televisione scrive dunque Flaiano - una delle serate di Sanremo. Ero a cena in casa di amici e non ho potuto sottrarmi. Questi amici intendevano vedere la trasmissione per ragioni di studio, essendo psicologhi (sic) e interessati ai fenomeni della cultura di massa. Alla fine mi sono accorto che a loro quella roba piaceva. Il fatto che a cantare fossero dei giovani, serviva a garantirli che la loro approvazione rientrava nell’aspetto giovanile del fenomeno. La verità è che a me lo spettacolo, non so più se ridicolo o penoso, di quella gente che urla canzoni molto stupide e quasi tutte uguali, lo spettacolo mi è parso di vecchi. Comunque, se la gioventù è questa, tenetevela. Non ho mai visto niente di più anchilosato, rabberciato, futile, vanitoso, lercio e interessato. Nessuna idea, nelle parole e nei motivi. Nessuna idea nelle interpretazioni. E alcune mi venivano segnalate come particolarmente buone. C’era un tale per esempio, coi capelli alla bebè che sembrava protestare contro il fatto che dei malintenzionati gli tirassero delle pietre. Non si capiva perché si lamentasse tanto. Avrebbe voluto che gli tirassero delle bombe? Oppure? Che un tipo simile venga lapidato dovrebbe essere normale. E’ brutto, sporco e probabilmente velenoso. So bene che è inutile lamentarsi sui risultati di una politica produzione-consumo. Interessi economici molto forti possono modificare non soltanto il gusto, ma la biologia di un popolo che cade in questa impasse. La trasmissione era ascolta, dicono, da 22 milioni di telespettatori, che è quasi dire tutta Italia il paese dei mandolinisti”.
Flaiano fa riferimento all’edizione del 1968, che vide l’esibizione di Antoine (il soggetto delle “pietre”!) ma anche il successo finale di Sergio Endrigo con “Canzone per te”, il cui testo era stato scritto da Sergio Bardotti, laureato in lettere all’Università di Pavia e uno dei personaggi più importanti della nostra musica leggera. Fu anche direttore artistico dell’Arc, che era la linea giovane della Rca (Arc era l’anagramma di Rca) che aveva l’etichetta verdina e che lanciò Dalla, il gruppo The Rockes e Dino, che interpretava la bellissima “Te lo leggo negli occhi” firmata dalla premiata ditta Bardotti- Endrigo. Però tutto questo non toglie nulla alle insulsaggini sanremesi e del resto non è detto che un Endrigo debba fare necessariamente primavera, anzi, e poi questa primavera proprio non ne vuol sapere di uscire, io me la immagino, questa bella fanciulla tutta inghirlandata di fiori come la donzelletta di Leopardi che se ne sta a scalpitare dietro le quinte del tempo in attesa che questo vecchio inverno si tolga dai piedi con la sua barba bianca di neve, con gli alberi spogli e tutto il resto… ma arriverà, oh sì se arriverà e dopo la primavera la grassa estate e qui ritorno a Flaiano, che scrisse “non c’è che una stagione l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia”. Così si legge a pagina trenta del suo “Diario degli errori” mentre nella pagina successiva, al paragrafo sessantuno, il grande Ennio ricorda la morte di Leo Longanesi “Ieri è morto Longanesi a Milano. Mi dispiace molto. Era il più vivace e sincero di tutti…”. Di Longanesi ricorderemo invece il centenario della nascita, che cade proprio quest’anno. Certo, se fosse stato di sinistra gli avrebbero preparato delle celebrazioni coi fiocchi, ma purtroppo era fascista, ancorché “sui generis”, sì perché Leo era un fascista antifascista e poi, via, prima di giudicare la gente si abbia la compiacenza di leggerla. E se una persona è intelligente lo è a prescindere dal suo “colore”. Ma di Leo avremo occasione di parlare ancora. Ovviamente, dopo Sanremo.

Franco Gàbici


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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .


 

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