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di memoria, cultura e molto altro...

 

Rubrica ad aggiornamento settimanale

Ravenna, 12 maggio 2004

 

 

 

 

 

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Alzate gli occhi al cielo, c'è la cometa!
Procuratevi un buon binocolo, ma soprattutto andate alla ricerca di un luogo buio lontano dalle luci della città. Solo così riuscirete ad acchiapparla per la coda...

Si chiama “2001 q4 NEAT” e detto così sembrerebbe quasi un protagonista di “T con zero” di Italo Calvino e invece è il nome (anzi la sigla) della cometa che sta transitando per i nostri cieli in questo maggio brullo e dai papaveri intirizziti. E’ un batuffoletto di luce a malapena visibile ad occhio nudo, quasi un gattino accovacciato accanto alla stella Procione, che è la stella più brillante della costellazione del Cane Minore, ma in cielo anche cani e gatti convivono allegramente perché le distanze dilatano gli odi e le beghe fra animali.
E’ uno spettacolo per pochi intimi, almeno per ora, perché la cometa non è molto spettacolare e se nelle fauci della gente non butti spettacoli e cose straordinarie non si sortisce nessun effetto, anzi, di fronte alla visione della cometa ti potresti sentir rispondere: “Tutto qui?”.
Certo, da gente abituata a sorbirsi “Isole dei famosi” e “Grandi fratelli” non ci si può aspettare altro. Ma la cometa è sempre la cometa e se visivamente non coinvolge emotivamente deve per forza dir qualcosa e lo straordinario di tutta questa faccenda è che questa cometa è stata scoperta nell’agosto del 2001 e si sapeva fin da allora che sarebbe poi transitata nei nostri cieli rendendosi visibile proprio in quel punto, il tal giorno e alla tal ora. L’emozione viene tutta da questa considerazione ed è una considerazione consolante perché dopo tutto ci si rende conto che almeno a questo mondo c’è qualcosa che funziona.
Alcune sere fa ero appostato sull’argine del fiume a un tiro di sasso dalla città sul far della sera, insieme agli amici astrofili Marco e Paolo. Il cielo era parzialmente coperto e nuvole dispettose erano sipari che si aprivano e si chiudevano lasciando intravedere una bellissima Venere, che al binocolo presentava un aspetto falcato (pareva una falcetta di Luna insomma). Il cielo era attraversato da pennellate vermiglie, come se una mano invisibile si fosse divertita a strappare dai campi tutti i papaveri per scaraventarli in cielo e accendere lo spettacolo della sera. E all’improvviso, mentre un vento fresco faceva chinare l’erba, una bellissima stella cadente è andata a incenerirsi dietro alle case nell’indifferenza del cielo. Poi la notte ha stretto nel suo soffice pugno la città, coi suoi mille occhi che nascondono il respiro delle stelle.
La notte! Scriveva Guy de Maupassant:
«Amo la notte con passione. L’amo come si ama il proprio paese o la propria amante, d’un amore istintivo, profondo, invincibile. L’amo con tutti i miei sensi, con gli occhi che la vedono, con l’odorato che la respira, con le orecchie che ne ascoltano il silenzio, con tutta la mia carne che le tenebre accarezzano. Le allodole cantano al sole, nell’aria azzurra, nell’aria calda, nell’aria leggera dei chiari mattini. Il gufo fugge nella notte, macchia nera che passa attraverso lo spazio buio, e gioioso, inebriato dall’oscurità imminente, lancia il suo grido vibrante e sinistro. Il giorno mi stanca e m’annoia. E’ ardente e brutale. Mi alzo a fatica, mi vesto stancamente, erro a malincuore, ed ogni passo, ogni movimento, ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero mi affatica come se sollevassi un pesante fardello. Ma quando cala il sole, una gioia confusa, una gioia di tutto il corpo m’invade. Mi sveglio, mi animo. A mano a mano che l’oscurità aumenta mi sento un altro, più giovane, più forte, più vivace, più felice. Guardo infittirsi questa vasta, dolce ombra scesa dal cielo che sommerge la città, come un’onda inafferrabile e impenetrabile, e nasconde, cancella, dissolve i colori, le forme, avvolge le cose, gli esseri, i monumenti col suo impercettibile tocco. Allora mi viene la voglia di gridare dalla gioia come le civette, di correre sui tetti come i gatti; e un impetuoso, invincibile desiderio d’amare mi si accende nelle vene…».
Avremo un motivo in più per amare la notte perché un mistero bianco latte si è aggiunto alla sua magica poesia. Procuratevi nel frattempo un buon binocolo, ma soprattutto andate alla ricerca di un luogo buio lontano dalle luci della città. Solo così riuscirete ad acchiappar la cometa per la coda.

Franco Gàbici

Guy de Maupassant, “La notte” da “Racconti dell’incubo”, Torino, Einaudi, 1993, p. 260.


Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .


 

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