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Alzate gli occhi al cielo, c'è la cometa!
Procuratevi un buon binocolo, ma soprattutto andate alla ricerca di un
luogo buio lontano dalle luci della città. Solo così riuscirete ad acchiapparla
per la coda...
Si chiama “2001 q4 NEAT”
e detto così sembrerebbe quasi un protagonista di “T con zero” di Italo
Calvino e invece è il nome (anzi la sigla) della cometa che sta
transitando per i nostri cieli in questo maggio brullo e dai papaveri
intirizziti. E’ un batuffoletto di luce a malapena visibile ad occhio
nudo, quasi un gattino accovacciato accanto alla stella Procione, che è
la stella più brillante della costellazione del Cane Minore, ma in cielo
anche cani e gatti convivono allegramente perché le distanze dilatano
gli odi e le beghe fra animali.
E’ uno spettacolo per pochi intimi, almeno per ora, perché la cometa non
è molto spettacolare e se nelle fauci della gente non butti spettacoli e
cose straordinarie non si sortisce nessun effetto, anzi, di fronte alla
visione della cometa ti potresti sentir rispondere: “Tutto qui?”.
Certo, da gente abituata a sorbirsi “Isole dei famosi” e
“Grandi fratelli” non ci si può aspettare altro. Ma la cometa è sempre la cometa
e se visivamente non coinvolge emotivamente deve per forza dir qualcosa e lo
straordinario di tutta questa faccenda è che questa cometa è stata scoperta
nell’agosto del 2001 e si sapeva fin da allora che sarebbe poi transitata nei
nostri cieli rendendosi visibile proprio in quel punto, il tal giorno e alla tal
ora. L’emozione viene tutta da questa considerazione ed è una considerazione
consolante perché dopo tutto ci si rende conto che almeno a questo mondo c’è
qualcosa che funziona.
Alcune sere fa ero appostato sull’argine del fiume a un tiro di sasso dalla
città sul far della sera, insieme agli amici astrofili Marco e Paolo. Il cielo
era parzialmente coperto e nuvole dispettose erano sipari che si aprivano e si
chiudevano lasciando intravedere una bellissima Venere, che al binocolo
presentava un aspetto falcato (pareva una falcetta di Luna insomma). Il cielo
era attraversato da pennellate vermiglie, come se una mano invisibile si fosse
divertita a strappare dai campi tutti i papaveri per scaraventarli in cielo e
accendere lo spettacolo della sera. E all’improvviso, mentre un vento fresco
faceva chinare l’erba, una bellissima stella cadente è andata a incenerirsi
dietro alle case nell’indifferenza del cielo. Poi la notte ha stretto nel suo
soffice pugno la città, coi suoi mille occhi che nascondono il respiro delle
stelle.
La notte! Scriveva Guy de Maupassant:
«Amo la notte con passione. L’amo come si ama il proprio paese o la propria amante,
d’un amore istintivo, profondo, invincibile. L’amo con tutti i miei sensi, con
gli occhi che la vedono, con l’odorato che la respira, con le orecchie che ne
ascoltano il silenzio, con tutta la mia carne che le tenebre accarezzano. Le
allodole cantano al sole, nell’aria azzurra, nell’aria calda, nell’aria leggera
dei chiari mattini. Il gufo fugge nella notte, macchia nera che passa attraverso
lo spazio buio, e gioioso, inebriato dall’oscurità imminente, lancia il suo
grido vibrante e sinistro. Il giorno mi stanca e m’annoia. E’ ardente e brutale.
Mi alzo a fatica, mi vesto stancamente, erro a malincuore, ed ogni passo, ogni
movimento, ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero mi affatica come se sollevassi
un pesante fardello. Ma quando cala il sole, una gioia confusa, una gioia di
tutto il corpo m’invade. Mi sveglio, mi animo. A mano a mano che l’oscurità
aumenta mi sento un altro, più giovane, più forte, più vivace, più felice.
Guardo infittirsi questa vasta, dolce ombra scesa dal cielo che sommerge la
città, come un’onda inafferrabile e impenetrabile, e nasconde, cancella,
dissolve i colori, le forme, avvolge le cose, gli esseri, i monumenti col suo
impercettibile tocco. Allora mi viene la voglia di gridare dalla gioia come le
civette, di correre sui tetti come i gatti; e un impetuoso, invincibile
desiderio d’amare mi si accende nelle vene…».
Avremo un motivo in più per amare la notte perché un mistero bianco latte si è
aggiunto alla sua magica poesia. Procuratevi nel frattempo un buon binocolo, ma
soprattutto andate alla ricerca di un luogo buio lontano dalle luci della città.
Solo così riuscirete ad acchiappar la cometa per la coda.
Franco Gàbici
Guy de Maupassant, “La notte” da “Racconti dell’incubo”, Torino, Einaudi, 1993,
p. 260.
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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