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Ravenna, 8 gennaio 2005


di memoria, cultura e molto altro...

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Sapete chi ha inventato il tricolore?
E' stato Giuseppe Compagnoni di Lugo di Romagna e vi racconto chi era.

In questi giorni di inizio gennaio si va parlando del nostro tricolore perché il presidente Ciampi ha voluto istituire il giorno 7 la festa del tricolore, nato a Reggio Emilia nel lontano 7 gennaio 1797 e divenuto il simbolo dell'unità nazionale. Anche se la gente sembra svagata e insensibile, un bel tricolore che garrisce al vento e le note dell'inno di Mameli costituiscono una mistura di fronte alla quale difficilmente si resta insensibili perché in fondo quello che viene chiamato l'amor di patria è in tutti gli italiani. Ma per noi "romagnolacci" il tricolore ha un sapore del tutto particolare, perché lo sentiamo particolarmente nostro, lo consideriamo una faccenda nostra e il motivo è presto detto. Pochi lo ricordano, ma chi ha inventato il tricolore è stato proprio un romagnolo, tal Giuseppe Compagnoni di Lugo di Romagna, che fece la proposta di rendere universale lo stendardo o bandiera cispadana di tre colori (verde, bianco e rosso) e che questi tre colori si usassero anche per la "coccarda" cispadana.
I tre colori, lo sapevate?, raffigurano in qualche modo le caratteristiche del nostro paese. Il verde, infatti vorrebbe rappresentare il colore delle sue pianure, il bianco richiamerebbe le nevi dell'arco alpino che le fanno da corona mentre il rosso vuol richiamare il sangue degli eroi caduti che hanno contribuito a costruire l'unità del nostro paese. E dico queste cose perché ahimé la Romagna viene troppo spesso identificata con il liscio, la piadina e il Sangiovese e purtroppo questa immagine le si è appiccicata addosso in maniera talmente forte da far passare in secondo piano tutto il resto.
Il tricolore dunque ha un sapore romagnolo, non dimentichiamolo e non dimentichiamo nemmeno questo Giuseppe Compagnoni, che era un personaggio speciale, un politico diremmo oggi, che tuttavia aveva delle aperture anche in campi contigui. Fu anche un divulgatore scientifico e dobbiamo a lui, pensate un po', un trattato di chimica per sole donne. Non so se ricordate, ma molto tempo prima Algarotti aveva scritto un trattato intitolato "Newtonianesimo per le dame" con il quale si proponeva di spiegare alle femmine i misteri delle leggi di Isaac Newton che all'epoca stavano affermandosi. Qualcosa del genere fece anche il nostro Compagnoni il quale, trovandosi in una farmacia di Venezia, fu protagonista di una discussione proprio intorno ai segreti della scienza chimica e alla fine della contesa fece una scommessa coi suoi interlocutori: avrebbe scritto un trattato di chimica esclusivamente per signore. E il trattato uscì per davvero.
Ma Compagnoni fu anche un finissimo letterato e anche un tipo burlone (gli aspetti burleschi sono tipici del carattere romagnolo) e lo dimostra il fatto che una volta mise in subbuglio il mondo letterario per l'annuncio di una scoperta di un preziosissimo manoscritto. Si trattava delle Veglie del Tasso e la critica andò in fibrillazione di fronte a questa scoperta che però alla fine si dimostrò essere una bufala. Compagnoni era fatto così. Aveva inventato il tricolore, ma non aveva perso il lato comico della vita.
Scrivo questa "Bollicina" in una giornata nebbiosa, di quelle che ti regala la Romagna in questo periodo. Una nebbia che ti ruba le magie del cielo e che ti impedisce di osservare la cometa che sta transitando per i nostri cieli. Speriamo che aggrappati alla coda di questo oggetto celeste si siano appiccicati tutti i mali e le disgrazie che purtroppo hanno funestato questo periodo. Ci siamo riempiti gli occhi di immagini tragiche, ma il sadismo della tivù era tale da trasformare la tragedia in una sorta di video gioco. Ricordo che una sera trasmisero immagini di un'onda assassina che stava travolgendo tutto e a un certo punto la regia ha inserito dei cerchietti rossi per indicare che in quel determinato punto c'era una persona che annaspava e che stava per essere travolta dalla furia delle acque e un altro cerchietto indicava un altro poveraccio che tentava disperatamente di aggrapparsi ad un albero. E noi seduti in poltrona o attorno alla tavola per la cena a osservare quelle immagini che ci scivolavano sulla pelle insieme a tutto il caravanserraglio televisivo. Che disastro, ragazzi. Sembra che perfino l'asse di rotazione della nostra vecchia Terra si sia spostato. Di poco, ma si è spostato. Un vero cataclisma. Poi arriva lo scontro dei treni nella nebbia. Poi si alzerà la nebbia, tutto tornerà come prima e ognuno penserà ai propri problemi di tutti i giorni. E il vecchio pianeta continuerà a girare su se stesso, un po' ammaccato e con l'asse leggermente spostato. Ma continuerà. Nel nome della vita che ci condanna al sacrosanto diritto di sperare, nonostante tutto. E buon anno a tutti, cari amici lettori!

Franco Gàbici


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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .


 

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