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Sapete chi ha inventato il tricolore?
E' stato Giuseppe Compagnoni di Lugo di Romagna e vi
racconto chi era.
I n questi giorni di inizio gennaio si va
parlando del nostro tricolore perché il presidente Ciampi ha voluto
istituire il giorno 7 la festa del tricolore, nato a Reggio Emilia nel
lontano 7 gennaio 1797 e divenuto il simbolo dell'unità nazionale. Anche
se la gente sembra svagata e insensibile, un bel tricolore che garrisce
al vento e le note dell'inno di Mameli costituiscono una mistura di
fronte alla quale difficilmente si resta insensibili perché in fondo
quello che viene chiamato l'amor di patria è in tutti gli italiani. Ma
per noi "romagnolacci" il tricolore ha un sapore del tutto particolare,
perché lo sentiamo particolarmente nostro, lo consideriamo una faccenda
nostra e il motivo è presto detto. Pochi lo ricordano, ma chi ha
inventato il tricolore è stato proprio un romagnolo, tal Giuseppe
Compagnoni di Lugo di Romagna, che fece la proposta di rendere
universale lo stendardo o bandiera cispadana di tre colori (verde,
bianco e rosso) e che questi tre colori si usassero anche per la
"coccarda" cispadana.
I tre colori, lo sapevate?, raffigurano in qualche modo le
caratteristiche del nostro paese. Il verde, infatti vorrebbe
rappresentare il colore delle sue pianure, il bianco richiamerebbe le
nevi dell'arco alpino che le fanno da corona mentre il rosso vuol
richiamare il sangue degli eroi caduti che hanno contribuito a costruire
l'unità del nostro paese. E dico queste cose perché ahimé la Romagna
viene troppo spesso identificata con il liscio, la piadina e il
Sangiovese e purtroppo questa immagine le si è appiccicata addosso in
maniera talmente forte da far passare in secondo piano tutto il resto.
Il tricolore dunque ha un sapore romagnolo, non dimentichiamolo e non
dimentichiamo nemmeno questo Giuseppe Compagnoni, che era un personaggio
speciale, un politico diremmo oggi, che tuttavia aveva delle aperture
anche in campi contigui. Fu anche un divulgatore scientifico e dobbiamo
a lui, pensate un po', un trattato di chimica per sole donne. Non so se
ricordate, ma molto tempo prima Algarotti aveva scritto un trattato
intitolato "Newtonianesimo per le dame" con il quale si proponeva di
spiegare alle femmine i misteri delle leggi di Isaac Newton che
all'epoca stavano affermandosi. Qualcosa del genere fece anche il nostro
Compagnoni il quale, trovandosi in una farmacia di Venezia, fu
protagonista di una discussione proprio intorno ai segreti della scienza
chimica e alla fine della contesa fece una scommessa coi suoi
interlocutori: avrebbe scritto un trattato di chimica esclusivamente per
signore. E il trattato uscì per davvero.
Ma Compagnoni fu anche un finissimo letterato e anche un tipo burlone
(gli aspetti burleschi sono tipici del carattere romagnolo) e lo
dimostra il fatto che una volta mise in subbuglio il mondo letterario
per l'annuncio di una scoperta di un preziosissimo manoscritto. Si
trattava delle Veglie del Tasso e la critica andò in fibrillazione di
fronte a questa scoperta che però alla fine si dimostrò essere una
bufala. Compagnoni era fatto così. Aveva inventato il tricolore, ma non
aveva perso il lato comico della vita.
Scrivo questa "Bollicina" in una giornata nebbiosa, di quelle che ti
regala la Romagna in questo periodo. Una nebbia che ti ruba le magie del
cielo e che ti impedisce di osservare la cometa che sta transitando per
i nostri cieli. Speriamo che aggrappati alla coda di questo oggetto
celeste si siano appiccicati tutti i mali e le disgrazie che purtroppo
hanno funestato questo periodo. Ci siamo riempiti gli occhi di immagini
tragiche, ma il sadismo della tivù era tale da trasformare la tragedia
in una sorta di video gioco. Ricordo che una sera trasmisero immagini di
un'onda assassina che stava travolgendo tutto e a un certo punto la
regia ha inserito dei cerchietti rossi per indicare che in quel
determinato punto c'era una persona che annaspava e che stava per essere
travolta dalla furia delle acque e un altro cerchietto indicava un altro
poveraccio che tentava disperatamente di aggrapparsi ad un albero. E noi
seduti in poltrona o attorno alla tavola per la cena a osservare quelle
immagini che ci scivolavano sulla pelle insieme a tutto il
caravanserraglio televisivo. Che disastro, ragazzi. Sembra che perfino
l'asse di rotazione della nostra vecchia Terra si sia spostato. Di poco,
ma si è spostato. Un vero cataclisma. Poi arriva lo scontro dei treni
nella nebbia. Poi si alzerà la nebbia, tutto tornerà come prima e ognuno
penserà ai propri problemi di tutti i giorni. E il vecchio pianeta
continuerà a girare su se stesso, un po' ammaccato e con l'asse
leggermente spostato. Ma continuerà. Nel nome della vita che ci condanna
al sacrosanto diritto di sperare, nonostante tutto. E buon anno a tutti,
cari amici lettori!
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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