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Cari e vecchi 45 giri ...
finestre spalancate su un passato di quasi mezzo secolo fa. Quando li ascolti,
ti sembra quasi di giocare a rimpiattino con il tempo
Leggo su "La Stampa" di lunedì scorso un bel
paginone dedicato al mercato del 45 giri nel quale la articolista
afferma che questo mercato interessa soprattutto i quarantenni e i
cinquantenni. Eh, no, cara amica, mi dispiace per te, ma gli affascinati
del 45 giri sono invece i sessantenni, una "specie" alla quale mio
malgrado appartengo per ragioni di anagrafe. Il culto del "45" nasce
intorno alla metà degli anni Cinquanta e sono i ragazzini fra i quindici
e i diciott'anni ad essere i veri protagonisti di questa rivoluzione che
cambia totalmente la maniera di fruire la musica, prima appannaggio dei
soli adulti, che si beavano dei loro fruscianti "78" giri, top secret e
non adatti alle maldestre mani dei ragazzini. Ma ecco arrivare la grande
rivoluzione del vinile che ti sbatte sul mercato questi dischetti
maneggevoli e soprattutto infrangibili, un vero miracolo della
tecnologia. I rigidissimi "78" venivano maneggiati con angoscia perché
se te ne scappava di mano uno e cascava per terra il disco inscenava
un'estemporanea Zersplitterung di schegge nere, mentre un "45" poteva
sfidare la attrazione di gravità senza danni e i primi dischetti ci
regalarono Only you (1955) dei Platters, Rock around the clock (1955) di
Bill Haley e poi Diana (1957) di Paul Anka e via via tutto il
campionario dei cantanti pop e dei rockettari che ci fecero
letteralmente impazzire.
Cari e vecchi "45", vere finestre spalancate su
un passato di quasi mezzo secolo fa. Avevano un aspetto spartano, ancora
non eravamo ossessionati dalla civiltà dell'immagine tant'è che il disco
era venduto dentro a una semplice busta col buco perché le copertine
eleganti e plastificate erano riservate ai "45" detti "extended play",
vale a dire i "45" con quattro canzoni, e agli inarrivabili (per il
prezzo) "33" detti anche padelloni.
Poi quando il mercato cominciò a prender piede, i "45" abbandonarono la
veste castigata e alcuni furono affidati anche a disegnatori e
cartoonist di grido, come Guido Crepax ad esempio, che all'inizio degli
anni Sessanta firmò una serie di copertine di Peppino di Capri,
precisamente quelle che raffiguravano un mezzo occhiale.
Certo,
ascoltare oggi uno di questi vecchi "45" sembra di entrare dentro a una
friggitoria, ma per fortuna la tecnologia ha messo a disposizione
strumenti che consentono di "pulire" il suono di questi vecchi dischi e
riversarli poi in un Cd per la delizia delle orecchie e soprattutto del
cuore. Purtroppo, però, questi marchingegni tecnologici non riusciranno
mai ad eliminare i rumori che giungono dal passato come gabbiani
ubriachi di sole e di mare e che sono legati ai ricordi, al tempo che
passa, alle rughe che ti guastano il viso e a tutti gli acciacchi di una
età che va accumulando sempre più sabbia dentro alla parte inferiore
della clessidra, ma nonostante tutto l'ascoltare i vecchi "45" dà una
ebbrezza indescrivibile, ti sembra quasi di giocare a rimpiattino col
tempo e, allora, quasi quasi ti verrebbe voglia di invertire la polarità
del motorino del tuo vecchio giradischi per far girare il disco alla
rovescio nella speranza che questa modifica possa mandare all'indietro
anche il flusso del tempo. Invece non succede proprio niente e allora
non ti resta che far girare il disco per il suo giusto verso, e gira e
gira e quel girare a "45" giri al minuto sembra quasi la
materializzazione del mito del tempo che mangia e ingoia se stesso, il
tempo che si mangia la coda sperando in questo modo di esorcizzare il
vero flusso, ecco perché questi dischetti oggetto di culto per i
sessantenni sono così fascinosi e, se non ci credete, andate a spolverarne
uno e provate a mettervi in religioso ascolto. Emergeranno dal buio del
tempo i fantasmi della nostra vita e si metteranno a danzare attorno a
noi e tutto girerà a 45 giri al minuto, un dondolio circolare che sarà
la nostra dolce ninna nanna. E il naufragar lì dentro, in mezzo a quei
solchi che hanno imprigionato voci e sensazioni, ci sarà dolce.
Franco Gàbici
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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