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Perché le onde non sono tutte uguali?
L'acqua del mare lava i ricordi e te li restituisce
puliti, ma con addosso l'aspro sapore del sale.
"Gli anni della mia infanzia e della mia
adolescenza li ho trascorsi in una continua, insaziabile e mai paga
contemplazione del mare... e mai il mare ci veniva a noia. Mai la sensazione che
ci dava scivolava sull'anima, ma la penetrava ogni volta con tutto il suo
essere".
Chi scrive è Pavel Florenskij, un personaggio incredibile e
straordinario che consiglio vivamente i miei lettori (ammesso che ne abbia
qualcuno) ad andarlo a scoprire. E poi chi ha il mare dentro di sé è già di per
sé straordinario e noi, che ci riteniamo gente di mare, un po' straordinari lo
siamo per davvero, nel senso che siamo diversi da quelli che abitano le grandi
metropoli lontane dal mare, perché il mare ti è dentro e ti dà sensazioni
incredibili. Ti fa sentire uomo di mare e dal cuore di nascono domande che altri
uomini non si porranno mai.
Pensiamo alle onde, anzi al "mistero delle onde",
dove il mare cela la sua forza e la sua vita. Ricorda Florenskij che
"accorrevano stremate, come notizie di paesi lontani, come notizie
dall'ignoto..." e di fronte a loro nasceva la domanda che agli uomini di terra
può sembrare banale: "Perché le onde non sono tutte uguali?".
Anche il signor Palomar di Italo Calvino osserva le onde e si rende conto che "non si può
osservare un'onda senza tener conto degli aspetti complessi che concorrono a
formarla e di quelli altrettanto complessi a cui essa dà luogo. Questi aspetti
variano continuamente, per cui un'onda è sempre diversa da un'altra onda...".
Eppure in quella diversità c'è qualcosa di comune, una armonia, un disegno e per
questo motivo quando Florenskij pensa alla magia del mare sente molto vicine le
"serie di Fourier", algoritmi matematici che "rappresentano i ritmi complessi
come un tutt'uno, un tutt'uno infinito di elementi semplici".
Mi son venute spontanee queste considerazioni sul mare perché stiamo entrando
nella stagione in cui cominciano a popolarsi le spiagge, anche se il mare è
bello solamente nella dimensione della solitudine e del silenzio, quando il mare
è veramente tuo e tu ti senti di appartenere a lui. Il mare ti canta dentro e tu
ascolti la sua eterna canzone, che è la canzone del tempo che passa.
L'acqua del mare lava i ricordi e te li restituisce puliti, ma con addosso
l'aspro sapore del sale. Ecco perché il ricordo è dolore, è sapore di sale. E
quando cantavo "Sapore di sale" (era il 1963) avevo vent'anni e non pensavo di
certo che quello sarebbe stato il sapore dei ricordi, perché a vent'anni si è
portati a mutare il sale con lo zucchero. Anche questo fa parte del buffo gioco
della vita, questa immensa spiaggia lavata dal tempo dove tu cammini e raccogli
conchiglie per ascoltare il rumore del mare che è anche il rumore del tempo. E
allora vorresti avere il potere di radunare tutti i ricordi per farli danzare
davanti a te come tanti cavallucci marini, per accarezzarli, per capirli o
semplicemente per riassaporarli.
Ma forse questo mare non esiste più: "Quel mare
- scrive Florenskij - il mare beato della mia infanzia beata, non potrò più
vederlo se non dentro di me. Se n'è andato dove se ne va il tempo,
probabilmente, tra i noumeni...". Ma poi Florenskij dice di ritrovare quel mare
nelle sostanze fluorescenti e precisamente nella luminescenza del “tubo di
Crookes”, nell’odore delle alghe nella tintura di iodio e nelle fughe e nei
preludi di Bach e anche nel rumore secco della brace rivoltata. E così conclude:
“Ricordo le mie impressioni di bambino e non mi sbaglio: sulla riva del mare mi
sentivo faccia a faccia con l’Eternità amata, solitaria, misteriosa e infinita
dalla quale tutto scorre e alla quale tutto ritorna. L’Eternità mi chiamava, e
io ero con lei”.
Mistero delle parole e potente suggestione del mare, il nostro mare, che in
certe gornate sembra un cielo fiacco caduto a terra, stanco ma confortato dal
bacio dei gabbiani che palpitano le loro ali, i gabbiani che gridano il dolore
della loro vita randagia come bambini di fronte a balocchi perduti, i gabbiani
che volano sempre, instancabili, come i ricordi, e per questo tu li ammiri in
mezzo al balenare delle burrasche e non sai, né potrai mai sapere, dove andranno
a morire perché i gabbiani appartengono al grande mistero del mare, di fronte al
quale Florenskij consumava il suo struggente “rendez vous” con l’immensità.
Franco Gàbici
Pavel Florenskij, Ai miei figli, Milano, Mondadori, 2003, p.79.
I.Calvino, Palomar, Milano, Mondadori, 1994, p. 6.
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
Basta una e-mail a ed@simonel.com per
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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