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Ravenna,1 novembre 2004



di memoria, cultura e molto altro...

                   


Rubrica ad aggiornamento settimanale

 

 

 

 

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Leo Longanesi e il cane a sei zampe
Dalla "faccenda" del marchio dell'Eni, appunti per ricordare un grande scrittore tanto scomodo quanto divertente del quale tutti si rammenteranno nel 2005 a cento anni dalla  nascita.

"Le foglie del giardino sono già rossicce e l’anima - dice una signora – l’anima ripiega su se stessa al primo vento d’autunno. Certo, il difficile, ora, è trovare una pelliccia per quell’anima…”.
Vi passo questa frase mentre osservo le foglie della mia Vite americana che sta regalandomi la solita macchia rossa sul muro del mio cortile, divorando il verde e tingendolo di un rosso caldo. Ah, dimenticavo di dirvi che la frase che ha aperto questa ennesima Bollicina (ma quand’è che vi stancherete di leggerle?) è di Leo Longanesi, un personaggio del quale si parlerà molto perché il prossimo anno cadrà il centenario della nascita, avvenuta a Bagnacavallo nel 1905.
Bagnacavallo, un paese a un tiro di sasso da Ravenna, ha avuto il suo momento di gloria quando il grande Albertone vi calò per interpretare il film “Il presidente del Borgorosso Football Club”. Il film è di Luigi Filippo D’Amico, è del 1970 e nel cast, insieme ad Alberto Sordi, troviamo anche il grande calciatore Omar Sivori e Tina Lattanzi che, se non lo sapete, è stata la “doppiatrice” di Marlene Dietrich, della Greta Garbo e della Joan Crawford. La fama del paese, dunque, restò legata a quel filo, perché in Italia la fama la creano il cinema e la televisione. Lo dimostra il fatto che se siete un cretino qualsiasi rimarrete tale per tutta la vita, ma se siete un cretino qualsiasi e la vostra cretinità viene fatta passare attraversi i tubi catodici di mamma tivù, state pur certi che diventerete dei divi. Questa è la legge della vita.
Chi, seguendo le gesta del presidente del Borgorosso avrà mai pensato che quel paesino della Romagna aveva dato i natali a Leo Longanesi?
Credo proprio nessuno e pensare che anche il grande Leo ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità per la faccenda del “cane a sei zampe” che reclamizza l’Eni. Si fece, infatti, il nome di Leo Longanesi ma sembra che le cose non andarono così. Il “cane a sei zampe” che sputa fuoco sarebbe opera di Luigi Broggini, che si aggiudicò il concorso bandito dall’Eni nel 1952 ma che non volle mai comparire. E quelle sei stramaledette zampe sottendono significati filosofici perché, nella spiegazione ufficiale dell’Eni, starebbero a significare la somma delle quattro ruote dell’automobile con le due gambe dell’uomo, una operazione matematica sballatissima perché tutti ricordano che fin dalla scuola media ci veniva insegnato che i termini delle addizioni dovevano essere rigorosamente omogenei e che non si potevano sommare “mele” e “pere” e così le sei zampe del cane sputafuoco è un clamoroso errore matematico che in effetti ha partorito il mostro che reclamizza la benzina e che raffigurerebbe una sorta di centauro moderno che si identificherebbe con la simbiosi uomo-macchina.
Per il concorso (che prevedeva i bozzetti di due manifesti e l’immagine di una colonnetta di benzina) venne messo in palio la somma di 10 milioni di lirazze, mica una bazzecola per quei tempi, e i bozzetti presentati furono quattromila. La giuria, composta anche di artisti e di esperti della comunicazione (ancora non si parlava di mass media) lavorò sodo e furono necessarie quattordici sedute nell’ultima delle quali, tenuta a Merano nel settembre del 1952, fu dichiarato vincente il “cane a sei zampe”. Risultava essere uscito dalla fantasia di Giuseppe Guzzi ma alla fine venne fuori che in realtà Guzzi era stato solamente il rifinitore perché l’idea era in realtà di un grande artista che preferiva l’anonimato e allora cominciò a levitare la leggenda metropolitana che dietro a quel marchio si celava in realtà il nome di un grandissimo personaggio e fra i nomi emerse in particolare quello di Leo Longanesi, che a quei tempi sputava tutto il suo intelligente fuoco proprio come il cane della Eni.
Beh, devo dire che anch’io avevo dato credito alla leggenda metropolitana e pensavo che il cane fosse opera di Leo. Peccato davvero. Ma Leo resta un grande anche senza cane a sei zampe. Alcune sue massime dovrebbero essere ricamate sul bavero di tanta gente. Sentite queste. Dopo aver definito “giornalista” come quel tale che “sa spiegare al pubblico quel che egli stesso non ha capito” passa alla definizione di giornalismo “Non è un’arte, è una tecnica, un modo particolare di preparare il lettore alla sorpresa finale. Ogni parola va scritta in funzione dell’ultima riga, per rendere soddisfatto il lettore di aver perduto tempo a leggere l’articolo”.
Salacissimi anche i suoi commenti. Gordon Craig disse che “L’Italia non avrà mai un teatro perché gli italiani, che recitano già per strada, sono incapaci di recitare sul palcoscenico”. E Leo aggiunse “qualcosa di simile accade nei confronti del Parlamento”.
Grandissimo Leo, che sicuramente non riceverà i tributi che si merita perché qualcuno non ha dimenticato il suo passato di fascista. Ma Leo dimostra che l’intelligenza non ha quartiere e che può sbocciare ovunque. E poi Leo, a differenza di molti intellettuali o presunti tali, aveva il coraggio di dire sempre quello che pensava e passava tutti col filo della sua ironica spada. E dava frecciate roventi.
Diceva Leo “l’espressione ‘il popolo sovrano’ racchiude il rimpianto della monarchia”. Gli italiani sono poco amanti del lavoro? E’ logico, naturale. Una repubblica fondata sul lavoro, infatti, diceva Leo, non ambisce che al riposo. Leo la sapeva proprio lunga.

Franco Gàbici.


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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .


 

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