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Guarda la Luna, guarda che mare...
Osservandola quando il silenzio della notte č interrotto solamente dallo
sciacquio delle onde che tentano di aggrapparsi alla riva, mi torna sempre in
mente...
L’altra sera mi sono incantato a
osservare la Luna piena sul mare. La luna č sempre la luna, eppure ogni mese il
plenilunio si carica di suggestioni e a volte anche di curiositā.
Questo plenilunio di agosto, ad esempio, č l’ultimo plenilunio dell’estate,
mentre nello scorso mese di luglio si sono succedute ben due lune piene e quando
si verifica questa coincidenza la seconda luna piena viene chiamata “blue moon”
(luna blu). La gente, allora, va in fregola e aspetta con ansia di vedere questo
capolavoro di plenilunio perché giā va immaginando di vedere l’astro della notte
tutto colorato di blu come un quadro di Chagall. E invece anche la “luna blu”
sorge rossastra per poi sbiancarsi piano piano e di fronte a questa luna dalle
apparenze pių che normali la gente storce il naso e pensa che gli astronomi
raccontino solamente delle balle.
Sembra, invece, che l’appellativo “blu” derivi dal fatto che una volta, in un
almanacco francese, la seconda luna piena del mese fu rappresentata col colore
blu per distinguerla dalla prima. Tutto qui. Il blu non c’entra proprio niente.
La luna!
Osservandola quando il silenzio della notte č interrotto
solamente dallo sciacquio delle onde che tentano di aggrapparsi alla riva, mi
torna sempre in mente il vecchio Giacomo e soprattutto quella straordinaria
considerazione di Italo Calvino che oggi possiamo leggere nelle sue altrettanto
straordinarie “Lezioni americane”.
Devo averlo citato anche qualche “bollicina” fa, ma il succo
del discorso č questo. Calvino scrive che nella sua lezione sulla “leggerezza”
avrebbe voluto parlare della Luna ma alla fine decide di lasciar perdere perché
la Luna va lasciata tutta a Leopardi. E’ lui, infatti, l’indiscusso poeta della
Luna ed č a lui che corre il pensiero quando vediamol’astro bianco della notte
passeggiare nei silenzi.
Non tutti, perō, hanno seguito il consiglio di Calvino.
Se poi andiamo nel campo della musica leggere troviamo che i
parolieri hanno cantato e colorato la luna in tutte le salse. La stessa gente
che si scandalizza se non vede la luna blu, non fa una piega quando ascolta
“verde luna” anche se in natura vedere la luna verde č evento abbastanza
improbabile. La luna č stata definita blue nel senso di luna malinconica e
perfino di carta: it’s only a paper moon… cantava il vecchio Frank (Sinatra
ovviamente). Neil Sedaka invece cantava “moon of gold” (le parole sono di Howard
Greenfield) e Little Richard urlava “by the light of the silvery moon”, che fra
tutti gli appellativi č sicuramente il pių azzeccato (la luna infatti č l’astro
d’argento per antonomasia). Poi c’č la luna rossa (in versi napoletani) e anche
“caprese”, come cantava nel 1960 Peppino di Capri in “Luna Caprese”, coi versi
del giornalista Augusto Cesareo e musica di L.Ricciardi.
Il mitico Fred Buscaglione invitava a guardare la luna (“Guarda che luna, guarda
che mare…”) e l’altrettanto mitico Elvis Presley cantava una triste luna del
Kentucky (“Blue moon of Kentucky”). Pat Boone, invece, ci sussurra il sapore di
una luna di zucchero (“Sugar moon”) e il grande Gleen Miller dedica alla luna
una dolcissima serenata (“Moonlight serenade”). Bellissima anche la musica di
“Moon river” che accompagna il film “Colazione da Tiffany” (la musica č di Henry
Mancini). E come non ricordare il grande Beethoven, con la sua suonata in do
diesis minore che ti mette dentro un brivido lunare.
La luna, infine, chi lo avrebbe mai sospettato, potrebbe
essere anche pericolosa, come risulta da uno studio su testi di canzoni cantate
da Mina, dove possiamo trovare addirittura un “colpo di luna” e una “tintarella
di luna”. Che la Luna causasse calore lo aveva scoperto alcuni secoli prima
l’astronomo Giovanni Keplero: “Si puō sentire il calore della Luna per mezzo di
un apparecchio. Infatti se si concentrano i raggi della Luna piena in uno
specchio concavo parabolico o sferico, si sente nel fuoco, nel punto in cui si
concentrano i raggi, una specie di soffio caldo. E’ una cosa che ho osservato a
Linz quando mi occupavo di altri esperimenti sugli specchi senza pensare al
calore; mi sono girato involontariamente per vedere se qualcuno mi soffiava
sulla mano”.
Cosė scriveva Keplero e sicuramente mai avrebbe immaginato che quel debole
calore avrebbe potuto causare “tintarelle” o, peggio, “colpi di luna”.
Tutto questo mi suggerisce la Luna, padrona del cielo, che č luogo di poesia ma
anche luogo di strani accadimenti. L’ultimo fenomeno strano č di pochissimi
giorni fa e viene dall’Inghilterra, e precisamente da un paesino del Galles sul
quale, sentite che roba, si č abbattuta una pioggia di pesci. Del resto c’č un
modo di dire inglese che definisce la pioggia torrenziale citando cani e gatti
(“it’s raining cats and dogs”). A gatti e cani aggiungiamo oggi i pesci.
Shakespeare mette in bocca di Amleto la famosa considerazione sulle stramberie
del nostro mondo: “Vi sono in cielo e in terra, Orazio, assai pių cose di quanto
ne sogna la tua filosofia”. Adesso pure i pesci guizzano in cielo e danzano
attorno alla Luna.
Tutto č capovolto (come affermava allarmato il poeta inglese
John Donne) e domani, chissā, per ammirare le stelle osserveremo il mare.
Franco Gābici
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Franco Gābici
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Franco Gābici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, č direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed č autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il pių grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegė, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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