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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

Ravenna, 14 marzo 2004

 

 

 

 

 

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Ora sarebbe possibile programmare i sogni
Lo affermano i giapponesi secondo i quali con un computer...Ma è come ucciderli: il sogno è bello perché è una porta che si spalanca in un mondo che non conosciamo

Se non ho capito male, l'ultima diavoleria arriva fresca fresca dal Giappone e consisterebbe in uno stramaledetto computer che consentirebbe, guarda te dove può arrivare la follia, di programmare i sogni, con tanto di immagini, colori e, dicono, persino sapori. A farla breve, uno alla sera va a dormire e prima di abbandonarsi fra le braccia di Morfeo consulta il computer da notte come se fosse lo specchio di Biancaneve e anziché dirgli "computer, computer delle mie brame, dimmi chi è il più bello del reame?" si va a digitare sulla tastiera l'argomento che si desidera sognare. Mi immagino questo esempio: il povero travet è tornato a casa frustrato e ce l'ha su con il mondo intero perché il capoufficio o direttore che sia lo ha sadicamente maltrattato? Ora te la faccio vedere io, pensa il travet, e prima di dormire programma il computer per ottenere un sogno dove immagina di strangolare tutti i direttori dell'universo. Sarebbe molto interessante immaginare cosa avrebbe potuto pensare il vecchio Sigmund di questo computer con gli occhi a mandorla. Ma se tutto si può programmare, allora anche la psicoanalisi verrà fatta on-line e anziché correre dallo psicanalista per raccontargli i nostri sogni e le nostre angosce, ci piazzeremo davanti a una tastiera e cominceremo a navigare dentro noi stessi perché, andando avanti di questo passo, prima o poi qualcuno riuscirà a corredare ciascun essere umano di un Cd nel quale è raccontata tutta la sua vita, dai traumi infantili fino alle preoccupazioni del quotidiano e allora risolvere il mistero dell'uomo diventerà una bazzecola (un'idea di questo genere deve già aver balenato dentro a qualche zucca e mi sembra di averne parlato molte bollicine fa). E poi mi piacerebbe sapere anche come la avrebbe pensata Shakespeare, che ne "La Tempesta" aveva scritto che noi siamo fatti della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, ma se i sogni adesso si possono computerizzare vorrà dire che la sostanza di cui siamo "fatti" non è granché. Vedete, l'informatica è una gran cosa, io sono molto felice di aver scoperto questa macchina meravigliosa che è il personal computer, ma come diceva Orazio "est modus in rebus", cioè non dobbiamo perdere il senso della misura altrimenti cadremo nel ridicolo. Ma come, se c'è una cosa bella è proprio il sogno, con le sue atmosfere e le sue magie, beh adesso vogliono rovinarci pure questa attività che ci fa volare in spazi lontani e che in qualche modo ci fa sentire onnipotenti. Il sogno è bello perché è sogno. Il sogno è la nostra parte irrazionale che si contrappone alla ragione, il sogno ci fa grandi. "In sleep a king, but, waking, no such matter", è Shakespeare che parla ("un re nel sonno, un nulla da sveglio"), concetto ripreso anche dal fantastico Hölderlin quando scrive "Ein Gott is der Mensch wenn er träumt ("l'uomo è un dio quando sogna"), mentre quando si mette a ragionare (o a "sragionare" come purtroppo succede molto spesso) diventa un "Bettler", cioè un mendicante.
Programmare i sogni significa volerli razionalizzare e togliere loro tutto il fascino che si sono guadagnati in anni e anni di onesta presenza dentro il groviglio della nostra vita. Il sogno è bello perché è una porta che si spalanca in un mondo che non conosciamo e che tuttavia ci regala sensazioni. Nel film "Io ti salverò" di Alfred Hitchcock (titolo originale "Spellbound", distribuito in Italia nel 1948 mentre negli Usa era uscito nel 1945) considerato uno dei film più belli sul tema della psicoanalisi, le sequenze dei sogni sono state affidate dal mago del brivido a Salvador Dalì, perché la dimensione è quella stessa dell'arte (nell'oraziana "Ars poetica" sta scritto "Ut pictura poesis" che tradotto in soldoni vuol dire che la poesia è come la pittura e dunque affidare la realizzazione di un sogno ai poeti significa identificare il sogno con la poesia della vita. Programmare i sogni significa appiattire tutto. Significa che stiamo perdendo la poesia che è in noi. Perché, lo vogliamo o no, poeti lo siamo un po' tutti. Giovanni Berchet nella "Lettera semiseria di Grisostomo" scriveva: "Tutti gli uomini, da Adamo giù fino al calzolaio che ci fa i begli stivali, hanno nel fondo dell'anima una tendenza alla poesia. Questa tendenza, che in pochissimi è attiva, negli altri non è che passiva; non è che una corda che risponde con simpatiche oscillazioni al tocco della prima". Chi non si sente poeta alzi la mano. Berchet aveva proprio ragione.

Franco Gàbici

La citazione di Shakespeare è tratta dal Sonetto 87, quella di Friederich Hölderlin da "Iperione".
La satira di Ennio è tratta dal frammento 64. Il sonetto shakespeariano ha il numero 87, il frammento di Ennio il 64. Non è per caso che anche i poeti stiano dando i numeri?


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Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .


 

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