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Ora sarebbe possibile programmare i sogni
Lo affermano i giapponesi secondo i quali con un computer...Ma
è come ucciderli: il sogno è bello perché è una porta che si spalanca in un
mondo che non conosciamo
S e non ho capito male, l'ultima diavoleria
arriva fresca fresca dal Giappone e consisterebbe in uno stramaledetto
computer che consentirebbe, guarda te dove può arrivare la follia, di
programmare i sogni, con tanto di immagini, colori e, dicono, persino
sapori. A farla breve, uno alla sera va a dormire e prima di
abbandonarsi fra le braccia di Morfeo consulta il computer da notte come
se fosse lo specchio di Biancaneve e anziché dirgli "computer, computer
delle mie brame, dimmi chi è il più bello del reame?" si va a digitare
sulla tastiera l'argomento che si desidera sognare. Mi immagino questo
esempio: il povero travet è tornato a casa frustrato e ce l'ha su con il
mondo intero perché il capoufficio o direttore che sia lo ha sadicamente
maltrattato? Ora te la faccio vedere io, pensa il travet, e prima di
dormire programma il computer per ottenere un sogno dove immagina di
strangolare tutti i direttori dell'universo. Sarebbe molto interessante
immaginare cosa avrebbe potuto pensare il vecchio Sigmund di questo
computer con gli occhi a mandorla. Ma se tutto si può programmare,
allora anche la psicoanalisi verrà fatta on-line e anziché correre dallo
psicanalista per raccontargli i nostri sogni e le nostre angosce, ci
piazzeremo davanti a una tastiera e cominceremo a navigare dentro noi
stessi perché, andando avanti di questo passo, prima o poi qualcuno
riuscirà a corredare ciascun essere umano di un Cd nel quale è
raccontata tutta la sua vita, dai traumi infantili fino alle
preoccupazioni del quotidiano e allora risolvere il mistero dell'uomo
diventerà una bazzecola (un'idea di questo genere deve già aver balenato
dentro a qualche zucca e mi sembra di averne parlato molte bollicine
fa). E poi mi piacerebbe sapere anche come la avrebbe pensata
Shakespeare, che ne "La Tempesta" aveva scritto che noi siamo fatti
della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, ma se i sogni adesso si
possono computerizzare vorrà dire che la sostanza di cui siamo "fatti"
non è granché. Vedete, l'informatica è una gran cosa, io sono molto
felice di aver scoperto questa macchina meravigliosa che è il personal
computer, ma come diceva Orazio "est modus in rebus", cioè non dobbiamo
perdere il senso della misura altrimenti cadremo nel ridicolo. Ma come,
se c'è una cosa bella è proprio il sogno, con le sue atmosfere e le sue
magie, beh adesso vogliono rovinarci pure questa attività che ci fa
volare in spazi lontani e che in qualche modo ci fa sentire onnipotenti.
Il sogno è bello perché è sogno. Il sogno è la nostra parte irrazionale
che si contrappone alla ragione, il sogno ci fa grandi. "In sleep a king,
but, waking, no such matter", è Shakespeare che parla ("un re nel sonno,
un nulla da sveglio"), concetto ripreso anche dal fantastico Hölderlin
quando scrive "Ein Gott is der Mensch wenn er träumt ("l'uomo è un dio
quando sogna"), mentre quando si mette a ragionare (o a "sragionare"
come purtroppo succede molto spesso) diventa un "Bettler", cioè un
mendicante.
Programmare i sogni significa volerli razionalizzare e togliere loro
tutto il fascino che si sono guadagnati in anni e anni di onesta
presenza dentro il groviglio della nostra vita. Il sogno è bello perché
è una porta che si spalanca in un mondo che non conosciamo e che
tuttavia ci regala sensazioni. Nel film "Io ti salverò" di Alfred
Hitchcock (titolo originale "Spellbound", distribuito in Italia nel 1948
mentre negli Usa era uscito nel 1945) considerato uno dei film più belli
sul tema della psicoanalisi, le sequenze dei sogni sono state affidate
dal mago del brivido a Salvador Dalì, perché la dimensione è quella
stessa dell'arte (nell'oraziana "Ars poetica" sta scritto "Ut pictura
poesis" che tradotto in soldoni vuol dire che la poesia è come la
pittura e dunque affidare la realizzazione di un sogno ai poeti
significa identificare il sogno con la poesia della vita. Programmare i
sogni significa appiattire tutto. Significa che stiamo perdendo la
poesia che è in noi. Perché, lo vogliamo o no, poeti lo siamo un po'
tutti. Giovanni Berchet nella "Lettera semiseria di Grisostomo"
scriveva: "Tutti gli uomini, da Adamo giù fino al calzolaio che ci fa i
begli stivali, hanno nel fondo dell'anima una tendenza alla poesia.
Questa tendenza, che in pochissimi è attiva, negli altri non è che
passiva; non è che una corda che risponde con simpatiche oscillazioni al
tocco della prima". Chi non si sente poeta alzi la mano. Berchet aveva
proprio ragione.
Franco Gàbici
La citazione di Shakespeare è tratta dal
Sonetto 87, quella di Friederich Hölderlin da "Iperione".
La satira di Ennio è tratta dal frammento 64. Il sonetto shakespeariano
ha il numero 87, il frammento di Ennio il 64. Non è per caso che anche i
poeti stiano dando i numeri?
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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