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Ravenna, 14 febbraio 2005


di memoria, cultura e molto altro...

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San Remo non lo guarderò proprio

...ma un'occhiata ai protagonisti l'ho data, soprattutto nel settore "classic"

Qua, ragazzi, ti tirano per i capelli e ti costringono a parlare di San Remo ancorché controvoglia. Però San Remo è sempre San Remo, almeno così vanno dicendo tutti i mass media, anche se a me di San Remo non me ne importa proprio niente. Per me potrebbero eliminarlo dal palinsesto, non me ne accorgerei nemmeno. Non lo guarderò mai e non lo dico per darmi delle arie. Vedo di peggio (“Il processo del lunedì”, ad esempio) e poi non mi vergogno di dire che in tempi passati seguivo “Beautiful” (poi diventato “Bruttiful”) e anche “Incantesimo”, se proprio lo volete sapere. Adesso non guardo più gli “scemeggiati” e mi limito a dare un’occhiata al quizzume che ogni buon consumatore di televisione si trova nel piatto all’ora di cena. E dopo aver seguito il gioco delle “scatole” condotto dal Bonòlis, adesso seguo quelle delle “banane” condotto dalla Ventura e, sarà perché lo guardo senza applicarmi molto, sarà perché dispongo di una intelligenza limitata, fatto sta che non sono mai riuscito a capire il meccanismo né dell’uno né dell’altro gioco.
San Remo, comunque, non lo guarderò proprio, ma un’occhiata ai protagonisti l’ho gettata, oh sì, soprattutto nel settore “classic” dove mi hanno colpito Nicola Arigliano e Peppino di Capri. Nicola Arigliano, che probabilmente approderà sulla spiaggia di San Remo direttamente dall’Arca di Noé, presenterà “Colpevole”, un titolo che richiama alla memoria dei vecchi come me il suo antico successo “Amorevole”, che faceva il paio con “I sing ammore”, tutti incisi su dischi Columbia, la stessa etichetta che distribuiva Paul Anka, che per noi giovani era tutt’un’altra cosa. Per una trentina d’anni, però, la sua faccia fu associata alle turbe gastro intestinali che per fortuna potevano essere debellate solamente da un famoso digestivo (si poteva ingerire anche senza acqua!) ed ebbe una piccola parte anche nel film “La grande guerra” di Mario Monicelli, accanto a Gassman e a Sordi. Nel film, quando il tenente Gallina si presenta alla truppa preannunciando già tutti i giochi di parole che potevano essere cuciti intorno al suo nome, il regista inquadra Nicola e questi anziché reclamizzare il digestivo si esibisce in una imitazione del verso della gallina. Nel 1964 partecipò anche a San Remo presentando un brano anomalo, “Venti chilometri al giorno”, di Pino Massara e di un giovanissimo Mogol. Poi nel 1966 si presentò al Premio Tenco e il suo cd “I sing ancora” ebbe un nuovo e grande successo. Arigliano dunque ha ripreso a scalare l’impervia montagna delle sette note e ricordo pure di aver letto recentemente
una sua intervista su “Lo Specchio” (l’inserto settimanale de “La Stampa”) e devo dire che me lo ha rivelato assai simpatico e interessante. A più di ottant’anni d’età Arigliano continua ad essere un grande.
L’altro grande vecchio è il Peppino (di Capri ovviamente), mio antichissimo pallino nonché struggente colonna sonora dei miei beati anni liceali che canterà a San Remo una canzone intitolata “La panchina”, un titolo che mi fa venire alla mente una canzone di Gianni Meccia (quello de “Il pullover” e de “Il barattolo”) che stava sul lato B de “L’ultima lettera”. Cito a memoria, ma son quasi certo che la canzone si intitolasse “Dove c’era una volta” e iniziava così Dove c’era una volta una panchina/dove allora mi sedevo con il mio amore/ora c’è un palazzo grigio e tanta gente/che va indifferente/e non conosce niente di noi”. Era il 1962 e Meccia apriva il filone della canzone ecologica cantando il tema del cemento che divorava erba e panchine e via via fino al celentaniano “Il ragazzo della via Gluck”.
Ma la panchina di Meccia richiama in memoria una delle panchine più famose del mondo, quella degli innamoratini di Peynet e il pensiero è quasi obbligatorio visto che questa Bollicina spicca il volo nella giornata di San Valentino, tradizionalmente considerato il patrono degli innamorati. Raymond Peynet è morto alcuni anni fa e l’idea dei fidanzatini gli venne nel 1942. Raymond si trovava nella stazione di Valence e vide un ragazzo che suonava il violino e una ragazza lo stava ascoltando tutta estasiata. In genere le stazioni sono dei luoghi stramaledettamente pidocchiosi e malinconici e le sale d’aspetto non invitano di certo all’allegria. Penso alle mie partenze di giovane studente che mi recavo settimanalmente all’Università di Ferrara e in certe mattine nebbiose mi faceva tristezza la visione di suorine, di militari di leva e di qualche passeggero con la valigia logora e legata con lo spago che in ogni stazione che si rispetti non mancano mai. Mi rimbalzava nell’anima quell’”eco di tedio” indotto dal “lugubre rintocco” dei ferrovieri che sbattevano le mazze per saggiare la consistenza dei freni e pensando alla fauna viaggiatrice mi chiedevo anch’io, come Giosuè Carducci, “dove e a che muove questa, che affrettasi a’ carri foschi, ravvolta e tacita gente?”. Io, invece, sapevo benissimo dove sarei approdato. Ad ascoltar lezioni su meccanica quantistica e onde elettromagnetiche, su relatività e transistor… tempi lontani e avvolti nella nebbia del ricordo. La sbuffante vaporiera mi ha portato lontano dalle
aule dei miei anni giovani. Oggi nelle stazioni non si vedono più militari e i viaggiatori hanno moderne valige con le ruote. Ma i fidanzatini di Peynet sono rimasti tali e quali, seduti su una panchina e sperduti nel dolce mare dei loro teneri sguardi.
Buon San Valentino a tutti gli innamorati!

Franco Gàbici

I versi di Giosuè Carducci sono tratti da “Alla stazione in una mattina d’autunno” (Odi barbare).


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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .


 

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