È morto Fiorenzo Magni e immediatamente la memoria si è messa a cavallo di una bicicletta e pedalando all’incontrario si è diretta verso il mitico trio “Bartali, Coppi e Magni” (rigorosamente in ordine alfabetico, che è anche il più “musicale”. “Coppi, Bartali e Magni” o “Magni, Bartali e Coppi” suonerebbero male…). Magni era l’unico del trio ancora in vita perché “quei due là”, come li chiamava lui, se n’erano già andati. Fausto Coppi moriva all’inizio di gennaio del 1960 a soli 41 anni per una banalissima malaria non diagnosticata e Gino Bartali ci lasciava nel maggio del 2000 quando ormai il ronzio della bici era lontano dalle sue orecchie.
Magni richiama una situazione anomala per il nostro paese, amante delle contrapposizioni a due, delle bipolarità, specialmente nello sport.
Ricordate?
Binda e Guerra, Mazzola e Rivera… ma nel caso di Magni le cose erano diverse perché esisteva sì il dualismo “Bartali e Coppi” ma ai due si aggiungeva sempre il nome di Magni che giustamente si guadagnò la qualifica di “terzo uomo”.
E qui mi è venuto in mente un paragone astronomico e precisamente la magica serata della conquista della Luna. Anche quella impresa è stata segnata da un “trio” i cui nomi sono entrati nella storia. Neil Armstrong, primo uomo a calpestare il suolo della Luna, Buzz Aldrin che lo seguì poco dopo e Michael Collins, il “terzo uomo” che osservò dall’alto l’avventura dei sue due compari che stavano coprendosi della polvere di luna e sui quali erano puntati i riflettori di una straordinaria platea mondiale. Ecco, io ho sempre considerato Collins il vero eroe di quell’impresa e ho visto nell’astronauta americano un grande esempio di umiltà.
Anche Fiorenzo Magni era umile, cosciente dei suoi limiti e delle sue capacità e la sua filosofia di vita può essere riassunta in questo suo commento: “Quei due là mi hanno insegnato a perdere!”. Certo, non capita tutti i giorni incrociare i pedali con due campioni di quel calibro, eppure Magni riuscì a inserirsi con la sua tenacia e con il suo cuore. Lasciamo stare il solito discorso del ciclismo epico e della manfrina che oggi lo sport non è più come quello di una volta e pensiamo a Magni che nonostante la presenza ingombrante di “quei due là” ha scritto il suo nome nella storia del ciclismo. E Fiorenzo ha dalla sua anche un record importante. È stato il più “vecchio” vincitore di un Giro d’Italia. Era il 1955, Magni aveva quasi 35 anni (li avrebbe compiuti a dicembre) e dopo aver conquistato la maglia rosa nella prima parte della corsa, se la rimise sulle spalle proprio alla penultima tappa e si aggiudicò il Giro (il suo terzo Giro) davanti a Coppi distanziato di appena 13 secondi.
Ho ancora di lui un bel ricordo visivo perché in quel 1955 il giro fece tappa all’ippodromo della mia città (Ravenna), dove si concludeva una tappa a cronometro grazie alla quale abbiamo visto sfilare i campioni ad uno ad uno. E ricordo Magni che percorse la pista con addosso la maglia tricolore del campione d’Italia.
Ma Fiorenzo Magni è rimasto famoso per le sue tre vittorie consecutive al Giro delle Fiandre, primo italiano ad aggiudicarsi quella classica e unico ad aver centrato tre vittorie consecutive, dal 1949 al 1951. Una tripletta da vero campione che gli fece guadagnare lungo quelle strade lastricate a pavé e scalando i famosi e terribili “muri” il conseguente titolo di “Leone delle Fiandre”.
Ma la figura di Magni, come quella di tanti campioni, è legata a una foto. Carlo Parola sarà sempre associato alla sua famosa rovesciata, Bartali e Coppi allo scambio delle borracce e Fiorenzo Magni sarà eternamente ricordato per quella foto che lo ritrae mentre pedala stringendo fra i denti un tubolare per alleviare il dolore di una clavicola incrinata nella tappa bolognese del Giro del 1956, ultimo della sua brillante carriera. In quella foto c’è tutto l’uomo Magni, la sua caparbietà, la sua tenacia. Un vero biglietto da vista per questo campione, che attraverso la bicicletta ha anche trasmesso una lezione di vita. Mai arrendersi davanti alle avversità, ma correre sempre e comunque, costi quello che costi, verso il traguardo.
Qualcuno, ricordano Magni, metteva in evidenza il suo trascorso politico. Fiorenzo era un dichiarato “uomo di destra” ma era amicissimo di Martini, che era invece “uomo di sinistra”. Lo sport e i suoi veri valori li accomunarono in una amicizia robusta e duratura, dove gli unici parametri erano i veri valori umani. Il resto è dettaglio.
È morto Magni e il famoso trio si è ricomposto nell’altra dimensione e noi, da oggi, li ricorderemo con affetto come “quei tre là”, “quei tre” che con le loro imprese hanno acceso di entusiasmi gli anni più spensierati della nostra vita.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).