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                  Ravenna, 10 luglio 2005



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Chi conosce e ricorda Pitigrilli?
E' scomparso giusto trenta anni fa ma nessuno lo ricorda come è già accaduto per molti altri grandi della nostra letteratura e come probabilmente accadrà pure per Leo Longanesi nato cent'anni fa... Ecco chi è Pitigrilli.

Un giorno il piccolo Dino Segre mentre stava camminando con sua madre le chiese informazioni sull’animale la cui pelliccia le foderava il cappotto. La madre gli rispose: “E’ di petit gris, di piccolo scoiattolo”. Petit gris! Il nome piacque assai al piccolo Dino al punto che lo italianizzò e lo utilizzò come pseudonimo per tutti i suoi scritti. E nacque così Pitigrilli.
Lo conoscete?
E’ un personaggio straordinario, bizzarro, eccentrico, ma talmente straordinario, bizzarro ed eccentrico che nessuno ormai lo ricorda più. Pitigrilli è morto giusto trent’anni fa, nel maggio del 1975, ma non mi sembra di aver letto nessun ricordo o di avere avuta notizia di nessuna commemorazione.
Succederà la stessa cosa, probabilmente, anche per un altro grande, Leo Longanesi, “romagnolaccio” di Bagnacavallo nato cent’anni fa, stimatissimo da Indro Montanelli (mi sembra che avesse pure una sua foto appesa nello studio) ma considerato troppo di destra per essere osannato.
I nostri letterati, diceva proprio Pitigrilli, vanno tutti a sinistra perché il comunismo funge da purgante per guarire dalle loro stitichezze intellettuali. Una frase così non può far piacere alla sinistra e così Pitigrilli, come anche Longanesi, sono stati relegati nel limbo del dimenticatoio. Devo dire che quel nome “Pitigrilli” l’ho orecchiato fin dall’adolescenza e mi intrigava parecchio, così come mi intrigavano certe firme che vedevo comparire sul Corriere della Sera: Indro Montanelli, Panfilo Gentile… e così prese corpo nella mia testolina che per essere famosi occorreva esser dotati di nomi strampalati. Io, purtroppo, mi chiamavo Franco e pertanto la partita con la celebrità sarebbe stata inevitabilmente persa.
Pitigrilli ha regalato famosissimi aforismi. Sentite questo, attualissimo: “Fanno i manicomi per i pazzi, le galere per i delinquenti, ma non c’è un asilo chiuso per gli imbecilli?”.
Pitigrilli se lo chiede e magari dovremmo chiedercelo anche noi. Certo che se si realizzasse un piano del genere l’edilizia subirebbe un notevolissimo incremento.
Scrittore, giornalista sui generis, faceva l’inviato e scriveva pezzi su avvenimenti ai quali non assisteva nemmeno, proprio secondo la convinzione di Longanesi il quale disse che un bravo giornalista sa spiegare quelle cose che non conosce. Pitigrilli fu protagonista di un episodio simile a quello che accadde a Gregory Peck nel delizioso film di Wyler “Vacanze romane”.
Il “Piti”, infatti, fu mandato a seguire la conferenza del senatore Morello sulle bellezze di Roma e siccome mancavano pochi minuti all’avvenimento, il direttore Tullio Giordana gli suggerì di utilizzare una carrozza. Pitigrilli, allora, preferì trascorrere un’oretta fra il Foro, il Gianicolo e il Pincio e una volta tornato in redazione si buttò a scrivere il pezzo elogiando l’oratore e citando pure le signore intellettuali presenti, notizia non difficile dal momento che, scrive il Piti, “erano sempre le stesse”.
Il pezzo ebbe una eco straordinaria ma il motivo del successo era da ricercare nella circostanza che all’ultimo momento l’oratore si era sentito male e la conferenza fu annullata! Ovviamente il direttore lo richiamò e Pitigrilli per scusarsi gli raccontò un aneddoto su Stéphan Mallarmé che non assisteva mai alle commedie delle quali però forniva puntualissime recensioni giustificando il suo comportamento in questo modo: “Perché volete che io vada a passare tre ore con gente presso la quale non andrei a pranzo?”. Il direttore Giordana, che “si tirava la barba per non ridere”, prima di congedare Pitigrilli gli aumentò lo stipendio e gli pagò pure il conto della carrozzella! Giornalismo romantico d’altri tempi!
Una modesta “bollicina” non può certamente raccontare tutto Pitigrilli, ma può comunque indurre nel lettore qualche curiosità. Alcuni suoi romanzi sono stati anche recentemente pubblicati e fra questi “Cocaina”, che ai suoi tempi fece molto scalpore e che fu difeso su “Ordine Nuovo” (la rivista fondata da Antonio Gramsci) da Leonida Repaci. Piti, però, non teneva in gran conto i critici letterari ed era solito affermare: “come una volta i questurini venivano reclutati fra il rigurgito della galera, oggi i critici sono raccolti tra i rifiuti della letteratura”. Definito “umorista tragico”, “idolo del pubblico”, “uno dei pochi in Italia che si fanno far leggere”, Pitigrilli fu certamente un caso letterario e figlio del suo tempo perché, secondo Repaci, Pitigrilli “è quello che è perché il secolo è come lui”.
Visse una vita intensa fatta di passioni e di contraddizioni. Tenerissimo, ma anche cinico. Secondo lui i cani erano degni di carezze più dei bambini, perché i cani restano cani mentre i bambini diventeranno uomini.
Considerato una spia dell’Ovra fu costretto ad emigrare ma ci fu chi, passata la buriana, lo difese. Fra questi un giovanissimo Giulio Andreotti.
Fece abbastanza chiasso la sua conversione al cattolicesimo. In Argentina, dove nel frattempo si era trasferito, teneva una rubrica su un giornale locale intitolata “Peperoni dolci” e l’”Osservatore Romano” auspicava che giornali e riviste cattoliche ospitassero lo scrittore. Anche “Civiltà Cattolica”, l’austera quanto prestigiosa rivista dei Gesuiti, inneggiava alla sua conversione e scriveva che Pitigrilli mostrava coi suoi libri “tutti i segni di chi ha assaporato le gioie della grazia e l’amplesso della Chiesa”. E “La Rocca” (il periodico della Pro Civitate Cristiana di Assisi), “La casa” e “Il Messaggero di Sant’Antonio” ospitarono sue rubriche.
Continuò a scrivere fino alla fine e giunto ormai al capolinea della sua vita, lasciò questo ultimo aforisma: “Si nasce incendiari e si diventa pompieri”, una frase che riassume tutta la sua variegata e contraddittoria esistenza. Era suo convincimento, scrive Enzo Magrì, “che ciascuno di noi, dopo avere organizzato per gli altri una fantastica festa pirotecnica, non abbia in vecchiaia che un desiderio: appartarsi e contemplare la luna”. Un Pitigrilli che guarda la Luna è un quadretto troppo bello. E ho scritto questa scombinata “bollicina” perché tutti devono sapere che Pitigrilli guardava la Luna.

  Franco Gàbici

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

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