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Ravenna, 11 gennaio 2006


Diceva Longanesi: "Tutto quello
che non so l'ho imparato a scuola"

   E’ appena passato l’anno longanesiano (ma stiamo all’erta perché fra un anno si ricorderanno i cinquant’anni della morte, avvenuta nel 1957!) e molta gente ha ancora negli orecchi l’eco dei suoi graffianti aforismi, alcuni dei quali sono stati incisi sulle panchine di un giardino nella natia Bagnacavallo, a futura memoria delle giovani generazioni, ammesso che “isole dei famosi” e videogiochi non le rimbecilliscano a dovere. Gli aforismi di Leo, comunque, sono là, incisi nel ferro e ce ne vorrà perché il tempo li gratti via. Uno dei più famosi, come ricorderete, ha come soggetto la scuola e dice più o meno così: “Tutto quello che non so l’ho imparato a scuola”. Un bellissimo cocktail di umorismo non sense, miscela tipicamente leolonganesiana.
   L’aforisma, per la verità, è stato attribuito anche a Flaiano, ma credo che sia di Leo. Diamo a Leo quel che è di Leo. Non c’era bisogno della Moratti, dunque, per scagliarsi contro la scuola. I ministri non c’entrano niente. Nel 1912 il ministro della Pubblica istruzione era Luigi Credaro e non credo gli abbia fatto piacere leggere la ferocissima filippica contro la scuola (anzi tutte le scuole) firmata, anzi gridata, da Giovanni Papini. Al confronto, la satira di Leo è acqua fresca. Papini, invece, va giù di brutto. Ha appena trent’anni, ma sembra aver già capito tutto. Sentite cosa dice questo “toscanaccio”: “Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall’insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v’insegnavano.
  Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.
  Soltanto per caso e per semplice coincidenza ­ raccoglie tanta di quella gente! ­ la scuola può essere il laboratorio di nuove verità. Essa non è, per sua natura, una creazione, un’opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest’ultimo ufficio ­ perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
  Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istituiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi”. Sarebbe interessante leggere tutta la filippica, ma lo lascio alla curiosità dei lettori (così, almeno, le mie Bollicine serviranno a qualcosa!).
  Dalle scuole, che secondo Papini non sarebbero altro che luoghi dove i genitori parcheggiano i figli per toglierseli dai piedi, uscirebbero quei personaggi definiti “cretini di stato”. Le scuole, poi, insegnano cose inutili “che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé” e “non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico”.
  Papini ammonisce anche che “quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono mai andati a scuola o ne sono scappati presto o sono stati “cattivi” scolari”. E invita, poi, ad andare a leggere Ignoranza delle persone istruite di Hazlitt, che scrive: «Chiunque è passato per tutti i gradi regolari d’una educazione classica e non è diventato stupido, può vantarsi d’averla scappata bella». E dopo avere ammesso che “l’unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine”, Papini termina il suo discorso con questa proposta: “Bisogna chiuder le scuole ­ tutte le scuole”.
  A questo punto mi direte cosa c’entra Papini, ma io rispondo subito dicendovi che quest’anno ricorrono i cinquant’anni della sua morte (morì a Firenze nel luglio del 1956). Ma non voglio parlarvi di Papini, non ne sarei nemmeno capace, ma vorrei proporvi un intrigante parallelo fra lui e Pier Paolo Pasolini il quale, negli anni Settanta, fece molto scalpore con la sua proposta di chiudere le scuole medie (lui diceva anche di chiudere la televisione, cosa che Papini non dice perché quando scriveva le sue robacce contro la scuola, la tivù era ancora una roba dell’altro mondo). Pasolini definiva la scuola l’“insieme organizzativo e culturale della diseducazione” e di scuola e tivù faceva un fascio con quest’altra affermazione: “La scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità). Se dunque i progressisti hanno veramente a cuore la condizione antropologica di un popolo, si uniscano intrepidamente a pretendere l'immediata cessazione delle lezioni alla scuola d'obbligo e delle trasmissioni televisive". Pasolini, per la verità, parlava di "un'abolizione provvisoria, in attesa di tempi migliori: e cioè di un altro sviluppo", ma ciò che volevo sottolineare è il fatto che le stesse affermazioni di Pasolini erano già state anticipate da Papini. Dunque, nulla di nuovo sotto il sole.
   Purtroppo, però, si parla molto di Pasolini e poco di Papini. E questo non è giusto. Pensate quanto sarebbe bella una lezione scolastica nella quale un insegnante mettesse a confronto i due personaggi. La scuola sarebbe veramente un bellissimo laboratorio. E invece, ahimè, mi sa tanto che avesse proprio ragione Longanesi. A scuola non si apprendono moltecose e “quelle cose” costituiscono il fondamento di ciò che noi chiamiamo cultura!

Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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