di memoria, cultura e molto altro...
Ravenna, 28 giugno 2005
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L'Asino raglia e il treno deraglia
Pietro Baroncelli è uno scrittore tutto da
scoprire ed ha intitolato così la sua raccolta di otto racconti
paradossali.
Pietro Baroncelli è nato a Ravenna, fa l’agente di commercio ed è il figlio del mio pediatra, che era una persona fantastica, uno di quei medici che aveva un pregio che oggi nessun medico sa esibire. E il pregio era questo: tu componevi il suo numero di telefono e immediatamente dall’altro capo del filo ascoltavi la sua voce, “Pronto Baroncelli”. Incredibile! Per questo mi ha fatto piacere incontrare Pietro, che fa l’agente di commercio e che ha una nipote di nome Nicoletta, bella come la sua mamma e intelligente come il suo nonno. Ho incontrato Pietro alcuni anni fa nonostante si abitasse nella stessa città (la mitica Ravenna), ma lui frequentava il Liceo Classico e io lo Scientifico e non è che ci fossero particolari occasioni. Poi un bel giorno è venuto a trovarmi al Planetario, perché lui adesso non abita più a Ravenna ma a Bologna. Ora voi mi chiederete perché mai mi sia saltato in mente di parlare di Pietro Baroncelli che fa l’agente di commercio, che ha una nipote di nome
Nicoletta che è bella come sua madre e intelligente come suo nonno. Beh, se proprio ci tenete a saperlo, ve lo dico subito. Pietro Baroncelli scrive, e devo dire che scrive maledettamente bene. Non scherzo. Andate a leggervi il suo ultimo libro, edito dalla Società editrice “Il Ponte Vecchio” di Cesena, che si intitola “L’asino raglia e il treno deraglia. Otto racconti paradossali” e poi ditemi se non ho ragione. Purtroppo la distribuzione di questi libri ha il respiro corto, ma sicuramente meriterebbero molto di più. Non voglio alzare il sipario su questi racconti sennò perdereste il gusto di leggerli, ma io vi assicuro che mi sono parecchio divertito. Se volete una pietra di paragone, le pagine di Pietro Baroncelli mi richiamano certi racconti del mio amico scrittore Giuseppe Bonura (altro autore sicuramente poco conosciuto dal grande pubblico, perché il grande pubblico ama le cose stupide). Il clima di questi racconti è completamente kafkiano, ma mentre il Kafka che ho in mente io (quello delle Metamorfosi o del Castello) è un Kafka tetrissino e tutto in bianco e nero, questo sembra un allegro Kafka in technicolor, un Kafka che si è messo alla macchina da scrivere, o al computer (ammesso che sia possibile una cosa del genere), dopo una bella bicchierata con gli amici.
E invece, ahimè, spesso ci si imbatte in autori portati sull’ala ruspante dei grandi editori che scrivono banalità per cui ti chiedi come mai certa gente approda alla grande editoria. Poi, si capisce, vieni a sapere che l’autore frequentava la casa del tal critico o del tal magnate e allora tutto si spiega. Il mio amico Pietro, evidentemente, non frequenta salotti e non ha agganci e l’unica sua soddisfazione è quella di mandare i suoi libri agli amici. Peccato, peccato davvero che questi racconti non abbiano un pubblico più vasto e per questo motivo ho pensato di dedicargli una mia “bollicina”, nella speranza che qualcuno venga assalito dalla curiosità di andare a leggere questi straordinari e divertentissimi racconti. Oggi, purtroppo, per essere letti bisogna essere dei “classici” oppure bisogna essere un personaggio televisivo. Prima o poi tutti i divi del teleschermo scrivono libri (o se li fanno scrivere, perché credo che certa gente non abbia nemmeno la grazia di tenere una penna in mano) e il fatto (tragico) è che la gente poi li compra. Ma il mondo va così. Adesso, poi, basta cantare o andare in moto e ti conferiscono una laurea, “ad honorem” certo, ma pur sempre una laurea, vale a dire un pezzo di carta che ti dà diritto di fregiarti del titolo di “dottore”.
Il mondo va proprio alla rovescio. E’ scoppiata l’estate e ogni sera dobbiamo sorbirci i consigli del professorone di turno che invita vecchi e bambini a non stare al sole nelle ore più calde. Evidentemente questi professoroni credono che bambini e vecchi siano così scemi da starsene a prendere il sole quando la nostra stella, come diceva Giovannino Guareschi, picchia martellate sulle zucche della gente. E poi le code dei rientri del sabato, la siccità e tutto il resto. I tiggì diventano film già visti e rivisti. E allora io vi dico spegnete la tivù e leggetevi un bel racconto di Pietro Baroncelli. Di certo sarà una piacevolissima novità.
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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