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Ravenna, 26 settembre 2005

Volete celebrare Leo Longanesi?  
Leggete i suoi libri, dice saggiamente il figlio.

  Voi mi perdonerete, vero?, cari amici bollicinofili, se parlo ancora di Leo Longanesi, ma qui (e per “qui” intendo la mia Romagna e nella fattispecie Bagnacavallo, città natale del “grande”) proprio in questi giorni si sta celebrando il centenario della nascita perché ci si è resi conto che anche se era un dichiarato “destro” Leo era pur sempre un genio e così quest’anno la tradizionale festa del paese è tutta dedicata a lui. Non so se avrete occasione di passare per Bagnacavallo, ma se lo fate recatevi nella piazza principale e la troverete tutta pavesata degli aforismi longanesiani, che garriscono al vento. Ci sono tutti i più significativi e su ognuno di essi si potrebbero cucire lunghissime riflessioni. Poi, siccome è bene che gli scripta manent, alcuni giorni fa hanno inaugurato a Bagnacavallo un giardino arredato di panchine in ferro battuto e su ognuna di queste è stato stampigliato un aforisma di Leo e chi si siede in queste panchine potrà anche avere l’opportunità di leggere qualcosa del grande scrittore e satirico e a questo proposito devo confessarvi una cosa che a me preme moltissimo dirci ma che purtroppo non sta scritta da nessuna parte. Dunque, in vista delle celebrazioni centenarie di Leo avevo suggerito al comitato per le celebrazioni di cogliere questa unica occasione per pubblicare finalmente l’opera omnia del grande bagnacavallese per dare l’opportunità di avere un incontro ravvicinato con lui dal momento che le sue opere sono edite in anni lontani e pertanto praticamente irreperibili sul mercato editoriale e un giorno incontro uno del comitato il quale mi annuncia che sono state ristampate: “Ci salveranno le vecchie zie?” e “Parliamo dell’elefante”, mentre verso Natale uscirà “Una vita” e tutto questo, mi ha detto, è stato fatto grazie al tuo suggerimento. Ho in mano le prime due copie, che sono una ristampa anastatica con l'aggiunta di un discorso di presentazione del Sindaco di Bagnacavallo dove si parla di tutto tranne che l’idea sia scaturita dalla cucurbita di tal Franco G. e dal momento che ognuno deve essere il miglior promotore di se stesso ho provveduto ad affidare questi pensieri a una “bollicina”, così, tanto per dare a Cesare quel che è di Cesare.
   E poi devo raccontarvi un’altra cosa che per la verità mi ha fatto molto piacere e cioè proprio in questi giorni ho avuto occasione di conoscere il figlio di Longanesi, invitato dalla città di Bagnacavallo a presenziare a una delle tante cerimonie dedicate alla memoria di tanto padre e per la verità la cornice del nostro incontro non è stata delle migliori perché si era in una di quelle bolgie infernali che rispondono al nome di “buffet in piedi”, con la gente affamata (su, ragazzi, è tutto gratis…) che tenta di incunearsi per raggiungere i tavoli delle delizie, ma poco prima della grande abbuffata qualcuno mi ha presentato il figlio e devo dire che mi ha suscitato una certa emozione e poi mi ha fato anche una ottima impressione perché non si tratta del solito figlio che ci marcia sull’immagine paterna e me ne sono reso conto quando, forse un po’ ingenuamente, gli ho fatto sapere che anch’io avevo avuto intenzione di fare qualcosa per Longanesi, una conferenza ad esempio, e lo avrei sicuramente contattato ma lui, molto gentilmente devo dire, e magari anche longanesianamente, mi ha detto che a lui non piace fare certe cose e pertanto se uno vuol davvero conoscere suo padre si metta a leggere i suoi libri perché il figlio è sempre il figlio e non c’entra proprio niente e mentre mi esternava queste cose io andavo pensando a tutti i figli che invece vivono squallidamente in simbiosi mutualistica coi loro padri, basta guardare la televisione per vedere tutti questi “figli di…” che, a dir poco, ti fanno venire il voltastomaco, ma l’Italia è proprio un bel paese e Leo lo conosceva molto bene e sicuramente avrebbe dedicato uno dei suoi aforismi a questo andazzo, ma purtroppo è morto quando ancora la televisione emetteva i suoi primi vagiti in bianco e nero, decisamente molto migliori delle scempierie colorate che ci propinano adesso, con programmi che definirli “spazzatura” è offensivo della nettezza urbana, che pure esplica un lavoro nobile e direi anche necessario, e così mi accorgo per caso che sta andando in onda la terza edizione dell’”Isola dei famosi” a dimostrazione di che pasta sia fatta la materia grigia del popolo televisivo che tuttavia riesce a papparsi ore e ore di stupidaggini e allora io ho cocente nostalgia della televisione del bel tempo che fu quando la “domenica sportiva” (sì, lo ammetto, mi piace il calcio) era formata da filmati e brevissimi commenti, mentre adesso è un insopportabile bla bla dove anche uno stramaledetto pallone che entra in rete deve costituire spettacolo e soprattutto occasione per fare della filosofia a buon mercato.
   Siamo entrati nell’autunno e oggi, stranamente, è una bella giornata di sole con le lucertole che stanno aggrappate al muro per godersi gli ultimi tepori e chissà dove andranno quando calerà l’inverno, se lo chiedeva anche il giovane Holden ancorché limitatamente alle anatre di Hyde Park quando il lago gelava durante l’inverno, mah, vai tu a capire gli animali…

  Franco Gàbici

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Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

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