La
bella stagione, che finalmente sembra essere arrivata, invita alla bicicletta e
pensando a questo ecologico mezzo di locomozione la mente corre ai tanti
letterati che qui nella mia terra (la “solatia” Romagna) hanno pedalato. Forse,
però, aveva ragione Francesco Talanti, bizzarro spirito romagnolo originario di
Sant’Alberto (RA) nonché magistrale traduttore in vernacolo di alcuni canti del
poema dantesco, quando commentò: “Romagna solatia…ovviamente se non piove!”. Ma
torniamo alla bici. Una delle foto storiche di Alfredo Panzini ritrae lo
scrittore con accanto la sua bici e anche don Francesco Fuschini ha posato con
al fianco la sua bicicletta (da donna, ovviamente, come lo sono – o lo erano? –
tutti i velocipedi dei preti). E poi Alfredo Oriani, che alla bicicletta ha pure
dedicato un libro, edito anni fa da Longo Editore e curato dal mio amico Ennio
Dirani, che da bravo cicloturista sa tutto sulla bicicletta. Devo averne parlato
alcune bollicine fa. Anche Olindo Guerrini (alias Lorenzo Stecchetti) è stato un
grandissimo cicloturista e fu uno dei primi presidenti del Touring Club
Italiano, che quando nacque, nel 1894, si chiamava Touring Club Ciclistico
Italiano e ciò giustifica come mai anche nell’attuale “logo” del sodalizio
campeggi una ruota di bicicletta. L’antica anima del Tci ha il ronzio d’argento
delle “razze” delle ruote. E siamo arrivati al dunque. Tutto questo bla bla, per
dire che in Romagna pedalava un altro grandissimo letterato, il cesenate Renato
Serra, che fu anche direttore della Biblioteca Malatestiana della sua città e
che morì giusto novant’anni fa sul Podgora. Aveva appena trentun’anni e poco
prima di morire aveva scritto Esame di coscienza di un letterato, e la
circostanza non sfuggì all’acume dei critici militanti ai quali non parve vero
di chiamare quell’opera “testamento spirutale” mentre Serra, chissà, non lo
pensava affatto. Ma tant’è. Bellissime le sue riflessioni sulla guerra, le sue
assurdità e la vita. “E la vita continua – scrive Serra - attaccata a queste
macerie, incisa in questi solchi, appiattita fra queste rughe, indistruttibile.
Non si vedono gli uomini e non si sente il loro formicolare: sono piccoli
perduti nello squallore della terra; è tanto tempo che ci sono, che ormai sono
tutt'una cosa con la terra. I secoli si sono succeduti nei secoli; e sempre
questi branchi di uomini sono rimasti nelle stesse valli, fra gli stessi monti:
ognuno al suo posto, con una agitazione e un rimescolio interminabile che si è
fermato sempre agli stessi confini. Popoli razze nazioni da quasi duemila anni
sono accampate fra le pieghe di questa crosta indurita: flussi e riflussi,
sovrapposizioni e allagamenti improvvisi hanno a volta a volta sommerso i
limiti, spazzate le plaghe, sconvolto, distrutto, cambiato. Ma così poco, così
brevemente. Le orme dei movimenti e dei paesaggi si sono logorate nel confuso
calpestìo delle strade; e intorno, nei campi, nei solchi, fra i sassi, la vita
ha continuato eguale…”. Quella vita che per Serra “è rimasta, irriducibile nella
sua animalità istintiva e primordiale, per cui la vicenda del sole e delle
stagioni ha più importanza alla fine che tutte le guerre, romori fugaci,
percosse sorde che si confondono con tutto il resto del travaglio e del dolore
fatale nel vivere".
Ma chi ricorda più Renato Serra? Oh, intendiamoci bene, mica voglio proclamarmi
difensore di alti valori né urlare come Giacomo (Leopardi, si capisce) “qua
l’armi qua l’armi procomberò sol io” per difendere la nostra povera Italia. No.
Era semplicemente una riflessione sulla qualità della informazione. Chi è a
conoscenza, ad esempio, che il 2005 è stato dichiarato “anno mondiale della
fisica”? Pochissimi, credo. In compenso tutti sono stati messi al corrente della
dimostrazione di fede del calciatore Adriano che dopo aver segnato una rete ha
alzato le mani al cielo e si è sollevato la maglietta per far mostrare alla
platea pallonara una citazione dalla lettera dei Filippesi. E i giornalisti giù
a scrivere sulla sua fede e su questo argomento ho pure letto una intervista al
cardinal Tonini, che io considero un caro e vecchio amico (ci conosciamo dal
1975 e non è poco), insomma, possiamo star certi, ancora pochi gol e finirà
dritto sugli altari insieme ai santi veri. Naturalmente i giornalisti hanno
richiamato all’attenzione del lettore altri sportivi di provata fede, a
cominciare dal nostro ex commissario tecnico della nazionale che durante le
partite degli “europei” mostrava a milioni di telespettatori le sue abluzioni
con l’acqua benedetta che gli aveva passato una sua sorella suora. Mah, più che
fede io la chiamerei superstizione e poi, via, una fede profonda non si sposa
con i conti in banca stramiliardari. I campioni della fede sono ben altri.
Quelli che ho incontrato avevano la veste logora, le scarpe rotte e una dignità
nella povertà che questi signori in mutande manco se la sognano e soprattutto
avevano un sorriso radioso che ti indicava una strada sicura in mezzi ai rumori
e alle distrazioni del mondo. E soprattutto non avevano bisogno, per dichiarare
la loro fede, di sbottonarsi la tonaca per far leggere messaggi stampati sulla
maglietta. Bastava la loro vita e la loro coerenza. Fine della predica.
Franco Gàbici
|
|
|