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Ravenna,
8 marzo  2005


di memoria, cultura e molto altro...

rubrica ad aggiornamento settimanale
                                              



 

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Ricordate Nicola Lisi? Io sì
E a trenta anni dalla sua scomparsa sto rileggendo il suo «diario di un parroco di campagna».

Il ministro Sirchia doveva scegliere un altro periodo per fare entrare in vigore le restrizioni contro il popolo dei fumatori. Mi vengono in mente queste considerazioni perché vedo, in questi giorni freddissimi, moltissima gente che se ne sta fuori dai bar o dai ristoranti a prendere una boccata d’aria malsana fatta di nicotina, catrame, monossido di carbonio e poi ancora di acetone, ammoniaca, formaldeide, arsenico, metanolo, butano, benzene, monossido di carbonio insomma aria purissima con la quale inaliamo i nostri poveri polmoni e adesso i fumatori sono costretti a starsene fuori dai luoghi frequentati. Se la legge fosse entrata in vigore in primavera l’impatto sarebbe stato sicuramente più dolce e la gente non si sarebbe buscata una polmonite di stagione. Ma tant’è. E poi non sono poche le persone che hanno colto questa occasione per smettere una buona volta con il fumo, perché fa male alla salute e anche alla tasca si capisce e ci sono quelli che ci si mettono di buzzo buono ad acquistare pasticche e cerotti fino a quando non si accorgono che l’unico cerotto antifumo è quello da applicarsi sulle labbra per impedire di aprirle, ma la pubblicità ti bombarda di suggerimenti e la gente ci casca e difficilmente crede che avrebbe smesso di fumare anche senza cerotto, ma adesso è meglio che la pianti con questi discorsi sennò mi inimico la classe dei farmacisti e io non ne ho nessunissima intenzione anche perché ho moltissimi amici farmacisti e poi io ero partito dal divieto Sirchia e lo avevo associato a questo freddissimo inverno che non ne vuol sapere di lasciare il passo alla primavera che sicuramente verrà e pensando a questo freddo cagnone vorrei ricordarvi che «Il diario di un parroco di campagna» di Nicola Lisi, scrittore e geometra (anzi “agrimensore”, perché a quei tempi si diceva così), inizia con un capitolo che è proprio intitolato “Anno del freddo” e se parlo di Lisi è perché quest’anno cadono i trent’anni della morte, è morto a Firenze nel novembre del 1975 (era nato a Scarperia nel 1893, proprio come Gadda, a proposito, avete mica letto il mio Dolore della cognizione?) e io ne parlo adesso anche perché penso di essere l’unico, ancorché non letterato, che lo ricorderà e in questi giorni sto pure leggendo questo diario e devo dire che è una lettura che porta indietro a tempi lontani quando la gente non è che se la spassasse poi troppo bene, almeno a sentire questo parroco di campagna che scrive “qui in campagna ceniamo a giorno per risparmio della luce”. A quei tempi non c’era di certo pericolo dell’inquinamento luminoso e il cielo era davvero quella cosa splendida che è, si poteva ammirare e lui lo guardava spesso e aveva pure la fortuna di avere un cielo sulla testa e un altro sotto ai piedi perché descrive anche campi abbelliti dalle lucciole che così brulicanti sul grano sembrano tante stelle cadute a terra. Dolcissime sono le pagine che descrivono l’attesa della primavera e credo che la lettura di questo Diario possa indurre serenità e il rimpianto di cose perdute, anche se sotto sotto non è che rimpiangiamo niente e scommetto che se ci condannassero a vivere come il curato di Nicola Lisi non saremmo affatto felici e che la frase “si stava meglio quando si stava peggio” è una baggianata di quelle grandi così, son cose che si dicono così, tanto per non perder la sana abitudine di lamentarsi di tutti e di tutto. Il Diario di Lisi però dovrebbe essere confrontato con quello di George Bernanos, che scrisse un diario di un curato, anche se i confronti con la letteratura straniera sono sempre pericolosi, io ricordo che lessi le Ultime lettere di Jacopo Ortis e mi piacquero assai, con quell’incipit “il sacrificio della patria nostra è consumato” che ti fa accapponare la pelle quasi come l’inno di Mameli, ma poi lessi i Dolori del giovane Werther di Goethe ed erano tutt’un’altra cosa, con le sue profondissime riflessioni, i suoi romantici furori: “quante volte ho anelato a giungere, con le ali di una gru che volava sopra di me, fino alla sponda di quel mare immenso per bere la turgida voluttà della vita dalla spumeggiante coppa dell’Infinito!” e quel suo senso della distruzione che vede nascosta in ogni cosa: “Ah, non sono le grandi e rare sventure del mondo, le inondazioni, i terremoti che inghiottiscono le nostre città, quelli che mi commuovono! Ciò che mi logora il cuore è la forza distruggitrice che si cela nel tutto della natura, la quale non ha creato cosa che, a sua volta, non abbia distrutto ciò che le è vicino, e se stessa. Perciò vacillo nell’angoscia. Intorno a me sono il cielo e la terra e le loro operanti energie! Nulla io vedo, se non un mostro che eternamente divora ed eternamente rumina”. Un modo elegante e poetico per formulare il principio di conservazione dell’energia, quell’energia che è uguale al prodotto della massa per il quadrato della velocità della luce, E = mc2, una delle equazioni più famose della fisica (sapete perché la velocità della luce è indicata con “c”? Quella “c” sta per “celeritas”), la dobbiamo ad Albert Einstein del quale quest’anno ricorrono i cinquant’anni della morte (1955) e i cento anni della Relatività ristretta (1905) sentiremo molto parlare di lui in questo 2005 dichiarato “anno mondiale della fisica” e quando mi trovo davanti ad una platea di ragazzi chiedo sempre loro: “Lo sapete che questo è l’anno della fisica?”. Risposta: “No”. Ma io non demordo e, fino a pochi giorni fa, chiedevo: “Lo sapete che fra qualche giorno inizierà il Festival di San Remo?”. Risposta: “Sì!”. Il che è bello e, come diceva Giovannino Guareschi, (poco) istruttivo!

  Franco Gàbici

Le citazione di Goethe sono tratte da “I dolori del giovane Werther”, a cura di Carlo Picchio (Mursia, 1966).

   


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Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .


 

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