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NOVITA' in SeBook ed Ex Libris
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172 Ravenna, 11 settembre 2005
La vita scorreva e Sergio
Endrigo
cantava, cantava... Addio a un poeta.
La
festa appena cominciata è già finita, il cielo non è più con noi… questa
tela grigia del cielo sembra proprio un sipario calato sulla dolce festa di
Sergio Endrigo, il poeta delle sette note scomparso alcuni giorni fa che insieme
ai mitici cantautori dell’inizio anni Sessanta (Luigi Tenco, Gino Paoli, Giorgio
Gaber, Bruno Lauzi, Fabrizio De André, Piero Litaliano…) aveva conferito dignità
a quel genere di musica definito sbrigativamente “leggero”.
Personaggio schivo, sempre fuori dai riflettori, cantava le sue
stupende melodie con una voce dal robusto timbro tenorile che tuttavia sapeva
armoniosamente mescolarsi alla dolcezza delle sue frasi. La musica faceva un
tutt’uno con lui e le note gli uscivano dalla bocca che lui predisponeva in un
atteggiamento caratteristico, con la mascella tesa verso l’alto… Le sue melodie
resteranno per sempre a raccontarci delicatezze e rabbie, malinconie autunnali e
sapori d’estate. Nei suoi testi aleggiava quel senso della precarietà che
riusciva a tingere di una velata tristezza perfino la bella stagione dei “vent’anni”,
sui quali ammoniva di stringer forte le dita perché già nell’aria si avvertiva
la fine di questo carnevale della vita. La precarietà è presente anche nella sua
prima composizione “Bolle di sapone” che incise per “La Tavola rotonda” nel 1960
prima di approdare alla Rca che lo avrebbe lanciato con la stupenda “Io che amo
solo te”. Come “bolle di sapone” sono stati i nostri bei sogni, sogni vissuti
una notte che l’alba ha già dimenticato, dunque tutto passa e tutto scorre
in un vorticoso “panta rei” dove il tempo non sa aspettare, perché
ieri l’autunno ha spento l’estate.
L’estate! Nelle canzoni di Endrigo non
era mai un allegro caleidoscopico scoppio di colori e di suoni (come nelle
sbarazzine canzoni di Edoardo Vianello) ma una stagione che sembrava vivere
della sua precarietà, quando questa dolce estate sarà finita, finita, quando
tu sarai tornata fra le case grigie della tua città… e anche in “Era
d’estate” è sempre presente l’autunno, quasi a voler ribadire il cardarelliano
senso della fine dell’estate annusata nelle piogge d’agosto.
C’è anche un aneddoto curioso nella discografia di Endrigo. Quando
uscì “Teresa”, infatti, il testo così recitava: Teresa non sono mica nato
ieri, per te non sono stato il primo…, ma quel “mica” non piacque a certi
censori della nostra austera Rai perché lo considerarono poco “italiano” e così
Endrigo fu costretto a cambiare il verso e in effetti nelle edizioni successive
troviamo Teresa la vita è solo un’avventura, per te non sono stato il primo…
Pruderie linguistiche di un bel tempo che fu!
L’altra sera ho ascoltato Endrigo, mentre fuori l’autunno stava
accartocciando l’estate dentro alle prime foglie gialle. Era un clima da “Se le
cose stanno così”, un grande successo di Endrigo che però non porta la sua firma
ma che è tuttavia endrighiano alla massima potenza, con quella tromba all’inizio
di ogni ritornello che sembra dilatare la malinconia di una giornata grigia…
Serata dolcissima dove insieme a R. ho mescolato l’autunno e la
primavera mentre antichi ricordi danzavano leggeri davanti a noi. Ed Endrigo
cantava e cantava, raccontando disperazioni (“Basta così”), sputando in faccia
al dolore l’allegria di “Viva Maddalena”, raccontando un delitto d’amore (“Via
Broletto”) dove il fatto di sangue è raffigurato con “un forellino rosso” sotto
al cuore… E poi ancora “Adesso sì” con senza di me tu partirai con altri
mondi, ti perderai fra gente e strade sconosciute e la dolcissima “Canzone
per te”.
Ho passato in rassegna il filmato della mia vita, dall’esame di
maturità alle prime avventure amorose e mi son reso conto della straordinaria
potenza evocativa della musica. Ogni canzone è davvero una finestra spalancata
sul passato, dove sonnecchiano ricordi sempre pronti a riemergere. Ed Endrigo
cantava e cantava…
Fuori l’estate era già un ricordo lontano e sul parabrezza
dell’auto cadeva la prima pioggerella autunnale. Ma, come cantava Endrigo,
sopra le nuvole c’è il sereno. Quel sereno che sicuramente Endrigo è andato
ad abitare, una dimensione profonda e lontana, da dove l’Africa è lontana vista
dalla Luna e da dove appare distante un mondo dove ormai si è perso la poesia,
un mondo fatto di voli di gabbiani telecomandati, di spiagge di
conchiglie morte, di stelle d’acciaio che brillano nella notte per
guidare marinai smarriti, di cavalieri che piangono accanto ai loro cavalli
feriti che perdono cherosene… Questa raffigurazione del rapporto uomo/macchina
cantato da Endrigo richiama sorprendentemente certe considerazioni di Leo
Longanesi sul mito borghese dell’”automobile”: “L’eroe muore al volante, come un
cavaliere in sella: egli è il signore, il crociato del nuovo medioevo meccanico,
orgoglioso del suo ordine”.
Il tergicristallo asciuga la fronte della macchina con stanca
monotonia mentre attraverso, dentro al mistero della notte, strade deserte e
umide di pioggia. Sembrano quelle strade del mondo lungo le quali si
perde la gente che ha avuto mille cose…
Franco Gàbici
Le canzoni non espressamente citate nel testo sono:
“I tuoi vent’anni”, “La dolce estate”, “Aria di neve”, “L’arca di Noè”.
“Se le cose stanno così” è firmato Fersen-Enriquez. Enriquez è lo pseudonimo del
direttore d’orchestra Luis Bacalov, che ha arrangiato e accompagnato molti
successi di Endrigo.
Le considerazioni di Leo Longanesi sono tratte da “Ci salveranno le vecchie
zie?”, recentemente ristampato da Longanesi, a pag. 75
Simonelli Editore consiglia di leggere:
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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