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Ravenna, 11 settembre 2005

La vita scorreva e Sergio Endrigo
cantava, cantava... Addio a un poeta.

  La festa appena cominciata è già finita, il cielo non è più con noi… questa tela grigia del cielo sembra proprio un sipario calato sulla dolce festa di Sergio Endrigo, il poeta delle sette note scomparso alcuni giorni fa che insieme ai mitici cantautori dell’inizio anni Sessanta (Luigi Tenco, Gino Paoli, Giorgio Gaber, Bruno Lauzi, Fabrizio De André, Piero Litaliano…) aveva conferito dignità a quel genere di musica definito sbrigativamente “leggero”.
   Personaggio schivo, sempre fuori dai riflettori, cantava le sue stupende melodie con una voce dal robusto timbro tenorile che tuttavia sapeva armoniosamente mescolarsi alla dolcezza delle sue frasi. La musica faceva un tutt’uno con lui e le note gli uscivano dalla bocca che lui predisponeva in un atteggiamento caratteristico, con la mascella tesa verso l’alto… Le sue melodie resteranno per sempre a raccontarci delicatezze e rabbie, malinconie autunnali e sapori d’estate. Nei suoi testi aleggiava quel senso della precarietà che riusciva a tingere di una velata tristezza perfino la bella stagione dei “vent’anni”, sui quali ammoniva di stringer forte le dita perché già nell’aria si avvertiva la fine di questo carnevale della vita. La precarietà è presente anche nella sua prima composizione “Bolle di sapone” che incise per “La Tavola rotonda” nel 1960 prima di approdare alla Rca che lo avrebbe lanciato con la stupenda “Io che amo solo te”. Come “bolle di sapone” sono stati i nostri bei sogni, sogni vissuti una notte che l’alba ha già dimenticato, dunque tutto passa e tutto scorre in un vorticoso “panta rei” dove il tempo non sa aspettare, perché ieri l’autunno ha spento l’estate.
   L’estate! Nelle canzoni di Endrigo non era mai un allegro caleidoscopico scoppio di colori e di suoni (come nelle sbarazzine canzoni di Edoardo Vianello) ma una stagione che sembrava vivere della sua precarietà, quando questa dolce estate sarà finita, finita, quando tu sarai tornata fra le case grigie della tua città… e anche in “Era d’estate” è sempre presente l’autunno, quasi a voler ribadire il cardarelliano senso della fine dell’estate annusata nelle piogge d’agosto.
   C’è anche un aneddoto curioso nella discografia di Endrigo. Quando uscì “Teresa”, infatti, il testo così recitava: Teresa non sono mica nato ieri, per te non sono stato il primo…, ma quel “mica” non piacque a certi censori della nostra austera Rai perché lo considerarono poco “italiano” e così Endrigo fu costretto a cambiare il verso e in effetti nelle edizioni successive troviamo Teresa la vita è solo un’avventura, per te non sono stato il primo… Pruderie linguistiche di un bel tempo che fu!
   L’altra sera ho ascoltato Endrigo, mentre fuori l’autunno stava accartocciando l’estate dentro alle prime foglie gialle. Era un clima da “Se le cose stanno così”, un grande successo di Endrigo che però non porta la sua firma ma che è tuttavia endrighiano alla massima potenza, con quella tromba all’inizio di ogni ritornello che sembra dilatare la malinconia di una giornata grigia…
   Serata dolcissima dove insieme a R. ho mescolato l’autunno e la primavera mentre antichi ricordi danzavano leggeri davanti a noi. Ed Endrigo cantava e cantava, raccontando disperazioni (“Basta così”), sputando in faccia al dolore l’allegria di “Viva Maddalena”, raccontando un delitto d’amore (“Via Broletto”) dove il fatto di sangue è raffigurato con “un forellino rosso” sotto al cuore… E poi ancora “Adesso sì” con senza di me tu partirai con altri mondi, ti perderai fra gente e strade sconosciute e la dolcissima “Canzone per te”.
   Ho passato in rassegna il filmato della mia vita, dall’esame di maturità alle prime avventure amorose e mi son reso conto della straordinaria potenza evocativa della musica. Ogni canzone è davvero una finestra spalancata sul passato, dove sonnecchiano ricordi sempre pronti a riemergere. Ed Endrigo cantava e cantava…
   Fuori l’estate era già un ricordo lontano e sul parabrezza dell’auto cadeva la prima pioggerella autunnale. Ma, come cantava Endrigo, sopra le nuvole c’è il sereno. Quel sereno che sicuramente Endrigo è andato ad abitare, una dimensione profonda e lontana, da dove l’Africa è lontana vista dalla Luna e da dove appare distante un mondo dove ormai si è perso la poesia, un mondo fatto di voli di gabbiani telecomandati, di spiagge di conchiglie morte, di stelle d’acciaio che brillano nella notte per guidare marinai smarriti, di cavalieri che piangono accanto ai loro cavalli feriti che perdono cherosene… Questa raffigurazione del rapporto uomo/macchina cantato da Endrigo richiama sorprendentemente certe considerazioni di Leo Longanesi sul mito borghese dell’”automobile”: “L’eroe muore al volante, come un cavaliere in sella: egli è il signore, il crociato del nuovo medioevo meccanico, orgoglioso del suo ordine”.
   Il tergicristallo asciuga la fronte della macchina con stanca monotonia mentre attraverso, dentro al mistero della notte, strade deserte e umide di pioggia. Sembrano quelle strade del mondo lungo le quali si perde la gente che ha avuto mille cose

  Franco Gàbici

Le canzoni non espressamente citate nel testo sono: “I tuoi vent’anni”, “La dolce estate”, “Aria di neve”, “L’arca di Noè”.
“Se le cose stanno così” è firmato Fersen-Enriquez. Enriquez è lo pseudonimo del direttore d’orchestra Luis Bacalov, che ha arrangiato e accompagnato molti successi di Endrigo.
Le considerazioni di Leo Longanesi sono tratte da “Ci salveranno le vecchie zie?”, recentemente ristampato da Longanesi, a pag. 75

 

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Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

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