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Il colle dell'Infinito rischia la cementificazione
Sì, proprio quello dal quale Giacomo Leopardi annusava i suoi "interminati spazi e sovrumani silenzi".

L'attesa della primavera è un gabbiano con le ali sporche che remeggia sulle onde color del caffelatte. Il mare in burrasca spaventa ed affascina. Ma è bello il mare. “Mi coricavo sul mare come sopra il più morbido dei cuscini”, scriveva Camillo Boito (era il fratello maggiore di Arrigo) in “Senso” e forse anche i surfisti pensano la stessa cosa. “La libertà delle membra in mezzo a quella immensità di mare – è ancora Boito che scrive – è un conforto ineffabile, un’allegria sublime”. E sulla tavola scomposta del mare veleggia il popolo allegro dei surfisti. E’ il lato allegro della medaglia, che si scopre sempre quando qualcuno ha voglia di girarla. Finalmente Carlo e Camilla si sono sposati e il Pupone avrà il suo Pupino. Informazione di alta qualità, non c’è che dire.
Ma fra le notizie una mi ha colpito in particolare perché interessa un certo poeta che risponde al nome di Giacomo Leopardi, nato a Porto Recanati il 29 giugno del 1798. E la notizia sarebbe questa la Soprintendenza avrebbe concesso il permesso di restauro e il conseguente aumento della cubatura di una abitazione che però non è una abitazione normale perché il caso ha voluto che affondasse le proprie fondamenta proprio sulle pendici dell’ermo colle dal quale Giacomo annusava i suoi interminati spazi e sovrumani silenzi. C’è anche una grande lapide a ricordare l’evento, perché questo monte Tabor è un luogo da salvaguardare. E vi assicuro che è proprio così. Provate a salire questo ermo colle poi mi saprete dire. Riceverete sensazioni forti e sconfinate. Dico sul serio. Sul Tabor incombe una biblica omonimia perché il suo nome richiama il monte in cui Gesù si trasfigurò davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni e purtroppo il Tabor delle colline marchigiane sta per essere oggetto di una assurda trasfigurazione ad opera del cemento, con quanto disappunto di Leopardi potete immaginare. Povero Giacomo! Anni fa scrissi un articolo sul quotidiano “Avvenire” col quale raccontavo la storia delle cosiddette ”astronavi spazzine”, un progetto ideato da qualche mente balzana per ripulire le orbite di tutti quei rifiuti e rottami lasciati dalle “macchine volanti” che avrebbe potuto costituire un potenziale pericolo per le macchine future e questo progetto prevedeva, pensate un po’, di raccogliere tutto questo materiale e scaraventarlo sulla Luna. La Luna trasformata in discarica! E io pensai subito a Giacomo e al suo “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” che così avrebbe finalmente ottenuto una risposta al suo eterno quesito “Che fai tu Luna in ciel, dimmi che fai silenziosa Luna…?”. La Luna, che io sappia, non ha mai dato risposte, ma di fronte a quel progetto avrebbe potuto rispondere tutta stizzita al pastore “Non vedi? Faccio la pattumiera!”. Che robe! Abbiamo corso il rischio di cambiar perfino nome alle fasi lunari. Accanto alla Luna piena avremmo dovuto tener conto anche della Luna sporca. Vi immaginate il dialogo fra due innamorati? Tesoro mio, guarda che bella Luna sporca c’è stasera, abbracciami!Per fortuna il progetto di trasformare la Luna in una sorta di pattumiera orbitante è naufragato, ma adesso si corre il pericolo di veder deturpato il colle dell’Infinito. La poesia dovrà subire un altro insulto e speriamo che anche questo vada a vuoto. Sarebbe tristissimo osservare dall’alto del Tabor un panorama fatto di alberghi e di ville. Ma ci hanno assicurato che il Tabor sarà preservato dal Moloch del cemento. E ci auguriamo sia proprio così.
Sta di fatto che l’altra sera, informato della questione, Giacomo scese nel suo natio borgo selvaggio e chiese ai passanti se fosse vera o no la storia dell’assalto cementizio al suo Tabor. Il grande Giacomo, allora, entrò in agitazione e cercò subito una farmacia. “Avete visto cosa stanno per combinare al mio Tabor?”. “Sì” gli risponde il farmacista. “Beh, - sospira Giacomo – se le cose stanno davvero così datemi un Tavor!”. “Avete la ricetta?” chiese il farmacista. Non ero presente alla scena, ma dicono che Giacomo, spazientito, se ne sia andato sbattendo la porta.

  Franco Gàbici


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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

 

 

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