Alla vigilia della 250° bollicina vi confesso la mia preoccupazione di potermi ripetere. Dopo aver "bollicinato" per anni, infatti, non sarebbe nemmeno così strampalato nutrire timori del genere e se vi passo queste mie angustie è per il semplice fatto che siamo in aprile e che il mese si presta ad alcune inevitabili considerazioni anche se il mio timore è che questo tipo di pensierini li abbia già cuciti, ma qui devo dire che mi conforta il pensiero che così come non ci si bagna mai nella stessa acqua è altrettanto vero che non si entra mai nella stessa "bollicina" e dunque, a farla corta, già altre volte credo di aver parlato del mese di aprile e di Leonardo Sinisgalli, ma quest'anno è un dovere parlare di questo ingegnere poeta per il semplice motivo che siamo nel centenario della sua nascita e dal momento che la nostra è una cultura esclusivamente "rimembrante" bisogna ricordarlo per forza.
Ma andiamo con ordine e cominciamo dal mese di aprile, definito da T.S.Eliot il più crudele dei mesi perché "genera lillà da terra morta, confondendo memoria e desiderio, risvegliando le radici sopite con la pioggia della primavera". A me, invece, che non sono nessuno, aprile piace perché nell'aria si avvertono i primi indizi della primavera che tu percepisci attraverso una gamma di colori e di suoni che va dal garrire rondinesco al viola del glicine, che non è solamente un colore ma è anche un sapore.
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Cosa c'entra Sinisgalli?
C'entra, c'entra, eccome, perché in un suo racconto che evoca i suoi stati d'animo dell'infanzia si legge: "Come io sia riuscito ad educare i sensi fino al punto di non arrossire più ad ogni ritorno di aprile, non so dire".
La riflessione però non dice nulla se non la si inserisce nel suo giusto contesto. Quella citazione del mese di aprile è infatti alla fine di questo straordinario passo: "L'infanzia bisogna scontarla con lunghi anni di solitudine. Animali cacciati da quel paradiso, ci ritrovammo fuori dagli alberi a difendere con malizia la nostra nudità. Fu più facile assoggettarci ai patti del demonio, che c'indicò le vie traverse per la fuga. Era un modo di vincere l'orrore di noi stessi, della nostra figura, di perdere i contatti più ambigui con l'innocenza. I muri di cui fino allora non s'era avvertita la vicinanza, i rumori soffocati ad alta notte tra i guanciali, erano i segni dell'assedio che intorno a noi preparavano i giorni.
Noi tentammo perfino di rompere a voce alta il cielo della stanza: ma le cose si fecero presenti, le cose contro cui urtavamo ogni momento. Si stabiliva col mondo quel legame che a poco a poco ci avrebbe vincolato ogni passo, e lo spavento di non poter contenere tutto negli occhi, nelle mani. Ho passato così tante estati in una camera grande della casa dove sono nato. Appena a sera i telai ch'erano in un angolo si lamentavano come velieri e l'odore della camomilla appesa alle travi mi faceva fare sogni verdissimi. Le mie sorelle cantavano nella camera attigua sui piedi leggeri. Incominciavo a temere la mia curiosità che sentivo così vicina al peccato. Guardingo all'insolenza dei fiori. Capivo che il corpo andava toccato con molta cautela e che bastava quella porta aperta a rompere i vetri con fracasso. Come io sia riuscito ad educare i sensi fino al punto di non arrossire più ad ogni ritorno di aprile, non so dire".
Eppure un grande di questa taglia sembra essere sprofondato nel dimenticatoio. Lo scorso marzo cadeva il centenario della nascita (nacque a Montemurro, in Lucania, nel 1908) e non mi risulta che sia stato celebrato. So, però, che Franco Vitelli sta preparando un volume celebrativo nel quale dovrebbe comparire anche un mio modesto contributo. Si sa anche di un Meridiano di Mondadori fermo ancora ai nastri di partenza e non si capisce come mai nessuno abbia il coraggio di farlo uscire.
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Misteri della letteratura. O forse un pessimo pesce d'aprile.
Aprile. Mi sovvengono canzoni e canzoni. "April love", ad esempio, il title song dell'omonimo film al quale ho dedicato il 25 aprile nel mio Una canzone al giorno recentemente pubblicato da Simonelli o "April in Paris" di Vernon Duke e E.Y.Harburg. Con lo stesso titolo nel 1952 uscì anche un film musicale interpretato da Doris Day, la cantante attrice così ribattezzata dal direttore d'orchestra Barney Rapp ispirandosi alla canzone "Day by day" che Doris cantava spesso.
E mi sa tanto che il direttore fu spinto a una azione del genere per nascondere il vero nome della star che all'anagrafe era stata registrata nell‚aprile del 1924 come Doris Mary Ann von Kappelhoff. E Day by Day è anche la rubrica del nostro direttore Luciano Simonelli. Tutto questo non è straordinario?
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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