Non so se sia capitato anche a voi, ma io ho sempre pensato che Ippolito Nievo fosse un vecchio barbogio molto avanti negli anni e la ragione di questa sensazione era dovuta al fatto che il suo nome è sempre stato associato, come un riflesso condizionato, a quei Ricordi di un ottuagenario della cui esistenza siamo stati informati al tempo del liceo quando si studiavano i minori della nostra letteratura ottocentesca. E la conclusione mi pareva logica. Se uno, mi sono detto, scrive i ricordi di un ottuagenario dovrà avere necessariamente oltrepassato la boa degli ottanta e invece macché, questo Ippolito Nievo era un giovanotto di belle speranze che morì giusto centocinquant’anni fa, il 4 marzo del 1861, a soli trent’anni d’età.
Ippolito, per la verità, aveva chiamato il suo romanzo Le confessioni di un italiano ma non si trovò il tempo di pubblicarlo. Pubblicare un romanzo, del resto, non era facile, oggi come allora, e anche Nievo dovette affrontare l’umiliazione del rifiuto degli editori che a volte, Vittorini e la bocciatura del Gattopardo insegnano, prendono qualche granchio. E poi Ippolito mica se ne stava con le mani in mano, perché era abbastanza impegnato per questioni di amor patrio tant’è che partecipò alla Spedizione dei Mille con incarichi amministrativi, una specie di “cassiere” insomma, e così andò a finire che il suo romanzo venne pubblicato, con il titolo leggermente cambiato, da Erminia Fuà Fusinato, moglie di Arnaldo, quello del Prode Anselmo tanto per capirci, sei anni dopo la morte.
Nievo perì nel naufragio del piroscafo “Ercole” mentre stava riportando alla base i documenti amministrativi della spedizione e siccome uno dei nostri sport nazionali è quello di fare sempre e comunque della dietrologia qualcuno avanzò subito l’ipotesi che la morte di Nievo fosse da attribuire a una sospetta strage di stato, così almeno scrisse il pronipote Stanislao Nievo nel suo romanzo “Il prato in fondo al mare” del 1974 dove parla di “una sospetta strage di Stato italiana, maturata dalla Destra e decisa dal potere piemontese per liquidare la Sinistra garibaldina: ‘strage’ con la quale si sarebbe aperta la storia dell’Italia unita”.
Questa volta, comunque, Berlusconi non c’entra.
Ma ciò che mi ha incuriosito di Nievo sono state le sue storielle umoristiche e fantascientifiche che oggi si possono leggere in “Storia filosofica dei secoli futuri” pubblicati nel 2003 dalla Salerno a cura di Emilio Russo.
È un trattatelo di fantapolitica italiana diviso in alcuni capitoli fra i quali merita sicuramente quello dedicato alla creazione degli “omuncoli”. Questo per dire che uno magari si immagina che un patriota fosse dedito esclusivamente alle cospirazioni o alle barricate e invece questa gente era capacissima anche di pensare ad altro.
Nievo, se proprio lo volete sapere, scrisse anche opere teatrali, alcune non furono nemmeno rappresentate ma se ti chiami Ippolito Nievo poi te le pubblicano e così si possono leggere e forse non saranno neanche granché però portano sempre la sua firma e allora qualcosa di interessante sicuramente lo trovi e a me, ad esempio, piacerebbe leggere “Gli ultimi anni di Galileo Galilei” così come mi piacerebbe ficcare il naso nelle pagine del suo saggio “Studii sulla poesia popolare e civile massimamente in Italia” che Ippolito pubblicò a puntate sull’”Alchimista Friulano” dove aveva anche pubblicato una poesia dedicata a Beatrice Cenci, l’eroina giustiziata la mattina dell’11 settembre 1599 nella piazza di Castel Sant’Angelo strapiena di curiosi e fra questi ci stava pure Caravaggio e Gentileschi.
Io per ovvi motivi non ero presente, ma le cronache parlano di un caldo feroce tant’è che la calca causò la morte di alcune persone mentre altre morirono perché annegarono nel Tevere. E tutto questo per vedere la povera Beatrice che veniva decollata con una spada.
Ma Beatrice a parte, quello che volevo dire è che questo Ippolito Nievo, scrittore molto prolifico, è una figura tutta da scoprire e magari uno ci si diverte pure.
È questo, in fondo, il bello della letteratura. Gratti sotto la scorza del patriota e scopri invece uno scrittore.
E tutto questo è semplicemente fantastico.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).