Passata è la tempesta (dei premi Nobel) ed è ora di sentire gli “augelli” dei commenti, che non fanno affatto festa, perché anche stavolta sembra che i giurati l’abbiano fatta davvero grossa.
Ha suscitato molto scalpore negli ambienti scientifici italiani, infatti, l’assegnazione del Premio Nobel per la fisica allo statunitense Yoichiro Nambu e ai giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa per certe ricerche della fisica sub-atomica intorno alla “rottura” di certe simmetrie che avvengono nel misterioso mondo delle particelle elementari. La loro scoperta, infatti, prende le mosse dalla cosiddetta “Matrice CKM”, dove le ultime due lettere sono le iniziali dei due fisici giapponesi che appartengono alla triade nobeliana, mentre la “C” sta per Cabibbo, il fisico italiano al quale si deve in gran parte il merito della scoperta.
La storia di questo Nobel negato fa venire in mente quel ritornello che si canta allegramente durante le feste di compleanno prima del soffio sulle candeline: “Tanti auguri a te, ma la torta è per me”.
Dispiace molto per Nicola Cabibbo, che molto intelligentemente ha deciso di non commentare la cosa, e dispiace soprattutto per la fisica italiana, che evidentemente è snobbata a livello mondiale nonostante i suoi trascorsi, la sua storia e i grandi personaggi che le hanno dato lustro (Enrico Fermi su tutti).
Ma non è la prima volta che la fisica italiana è trattata a pesci in faccia.
Nel 1948 il Nobel per la fisica fu assegnato al barone Blackett "per il suo sviluppo del metodo della “Camera a nebbia” di Wilson, e le sue scoperte nel campo della fisica nucleare e delle radiazioni cosmiche" e nel discorso ufficiale disse molto onestamente che sarebbe stato felice se a condividere la gioia del premio fosse stato con lui anche Giuseppe “Beppo” Occhialini, che aveva lavorato con lui al Cavendisch Laboratory e che l’anno precedente aveva scoperto il “pione”, una particella elementare responsabile del fatto che la materia non “scoppia”.
La particella era stata ipotizzata nel 1935 dal giapponese Hideki Yukawa, altro Nobel nel 1949, ma di fatto fu scoperta dal fisico italiano dodici anni dopo, nel 1947. Il “pione”, se proprio lo volete sapere, è chiamato anche “mesone π” e quando ero un ragazzino ero infatuato da questi termini e mi affascinava la figura di Yukava perché aveva sul naso degli occhiali di tartaruga e sicuramente anch’io da grande avrei indossato occhiali di tartaruga e magari avrei scoperto qualche altro mesone.
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Ma torniamo a questo “pione” che, detto in termini molto semplici, sarebbe una specie di colla che tiene insieme la materia e non la fa scoppiare. E forse grazie a questa scoperta di Occhialini molti fisici italiani non sono “scoppiati” di rabbia di fronte alla discutibile decisione della giuria di Stoccolma. Ma che qualcosa non funzionasse dentro alla sala dei bottoni di questo importantissimo premio si era capito già da tempo, quando il Nobel per la letteratura fu assegnato a Dario Fo ignorando completamente, e faccio soltanto un nome, Mario Luzi.
Difficile, a questo punto, comprendere i criteri cui si ispirano i giurati.
O forse aveva ragione quel politico là quando diceva che a pensar male ci si azzecca sempre.
Ero convinto che la latitudine della Svezia garantisse ai giurati una sorta di immunità da certe pessime abitudini o interferenze (politiche soprattutto) che avrebbero potuto in qualche modo inquinare il giudizio. E invece succedono queste cose.
Peccato.
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E così è andato a finire che questo Nobel per la fisica è stato dedicato alla “rottura”. Una “rottura” di simmetria, ma anche, massì diciamolo, una “rottura” di scatole.
È triste pensare in questi termini ma ormai ti verrebbe da dire che la serietà e l’onestà non sono più di casa nel nostro mondo.
L’unica attenuante è che i giurati di Stoccolma abbiano preso fischi per fiaschi e anziché a Cabibbo hanno pensato al Gabibbo. E così si saranno consultati fra loro e avranno sentenziato: ma volete proprio assegnare un premio così prestigioso a quel pupazzo rosso che si agita in televisione?
Non sia mai.
Così, zac, hanno eliminato il suo nome.
Poi qualcuno, magari il giorno dopo, avrà detto: ragazzi, avete visto? Abbiamo preso un colossale abbaglio. Non è Gabibbo, ma Cabibbo e questo Cabibbo è pure una persona seria. Ma ormai la frittata è fatta e i “pioni” stanno facendo davvero degli straordinari per non far scoppiar di rabbia chi faceva giustamente il tifo per il nostro Nicola Cabibbo.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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