Il 1962 è sicuramente un anno molto importante. Nel luglio di quell’anno, infatti, sostenni l’esame di maturità (quello vero, serio e tremendamente difficile e non quella burletta che è diventato oggi), un evento molto importante della mia personale biografia e che molto probabilmente non interesserà molto ai miei lettori (se mai ne esiteranno) però quando ricordo il 1962 mi viene automaticamente alla memoria il mio esame di maturità. Ma qui non è che voglia intrattenere l’uditorio su questo argomento bensì su di un altro, sicuramente molto più interessante, che è legato proprio al 1962 e precisamente al settembre di quell’anno. In quella data, infatti, usciva negli Stati Uniti il best seller di Rachel Carson “Silent Spring”, che nel maggio del 1963 sarebbe stato tradotto dalla Feltrinelli con il titolo “Primavera silenziosa”.
Il libro fu una vera bomba, un manifesto accorato e disperato contro l’uso dei pesticidi e in particolare del DDT con il quale l’autrice, cresciuta in mezzo agli odori e ai suoni della campagna della Pennsylvania, metteva tutti in guardia dal pericolo cui l’umanità andava incontro se continuava a spruzzare “urbi et orbi” queste sostanze.
E pensare che negli anni Quaranta del secolo andato l’ingresso del DDT sulla scena del mondo fu salutato con grande enfasi perché grazie a questo composto, il cui termine scientifico è Para-diclorodifeniltricloroetano, si era riusciti a debellare il flagello della malaria che stava compromettendo la salute dei soldati americani che stavano combattendo contro il nazifascismo.
Il DDT fu sintetizzato dal chimico svizzero Paul Müller che per questa sua scoperta fu insignito del Nobel nel 1948 e certamente mentre intascava il premio non avrebbe mai immaginato che pochi anni dopo il suo DDT sarebbe finito sul banco degli imputati.
Il libro della Carson fece molto scalpore e se da una parte fece imbufalire i chimici, che bollarono l’autrice di incompetenza essendo lei una zoologa e non una biochimica, dall’altro fece nascere una coscienza ecologista che si sarebbe trasformata in un movimento di idee. Magari la Carson vestì gli abiti della moderna Cassandra ma intanto aveva messo nella piaga un dito grosso così. Il libro, al quale dedicò quattro anni di ricerche, era dedicato ad Albert Schweitzer che una volta ebbe a dire: “L’uomo ha perduto la capacità di prevedere e di prevenire. Andrà a finire che distruggerà la Terra”.
Parole sante.
E come premessa al suo lavoro aveva posto due epigrafi, uno di Keats e uno di White: “Il giunco è appassito sul lago e nessun uccello canta più” (Keats) e “Sono pessimista sulla sorte della razza umana perché essa ha troppo più ingegno di quanto ne occorra al suo benessere. Noi ci accostiamo alla natura solo per sottometterla. Se ci adattassimo a questo pianeta e lo apprezzassimo, invece di considerarlo in modo scettico e dittatoriale, avremmo migliori probabilità di sopravvivere”. E anche queste sono parole sante.
Correva, dunque, il 1962, un anno caratterizzato dal “boom” economico con la gente che aveva voglia solamente di divertirsi e di svagarsi senza stare a badare alle Cassandre di turno. La gente viveva allegra e in quei tempi beati il benessere si era trasformato in un grosso martello che schiacciava tutti gli impertinenti grilli parlanti che avrebbero potuto in qualche modo scalfire la sua felicità. Eppure qualche scricchiolio si avvertiva. E mentre il libro della Carson, che restò per mesi e mesi al primo posto nelle classifiche dei “best sellers”, andava spopolando, in Italia il regista Dino Risi stava girando fra Roma e Castiglioncello quello che sarebbe diventato il suo capolavoro, “Il sorpasso”, una bella guasconata interpretata da un impareggiabile Vittorio Gassman.
Tutti sappiamo come finì l’avventura. L’Aurelia di Gassman esce di strada e il suo occasionale compagno di viaggio, un imbranatissimo Jean Louis Trintignant, ci rimette la pelle. E quella macchina che rotola giù nella scarpata della curva in località Calafuria sembra voler rappresentare la fine di un viaggio allegro e spensierato ma al tempo stesso anche la fine della grande avventura del “boom”.
Tutto questo mi ricorda il lontano 1962, l’anno di “Silent spring”, del “Sorpasso” e, perdonatemi se lo ricordo ancora, della mia “maturità”.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).