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di memoria, cultura e molto altro...
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Ravenna,
23 Aprile 2007
Ti sei perso una cosa...Le
VideoConversazioni di Luciano Simonelli? Se hai un collegamento ADSL,
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Se qualcuno vi
dice che è stato in vacanza alla isole di Lagerhans
cosa rispondete?
La
bellezza della primavera, dopo avere oltrepassato le coane, mi
arriva in bocca con il dolce sapore del glicine e qui scommetto che i
miei lettori, a meno che non siano medici, non sanno proprio cosa siano
queste “coane”, ma io che ho frequentato il liceo scientifico e che ho
studiato scienze con la terribile professoressa Moro lo so e così faccio
sfoggio di cultura scientifica informandovi che nei vertebrati terrestri
le coane sono delle cavità nasali che mettono in comunicazione le narici
con la bocca e tanto per dare una continuità a questo atteggiamento di
immodestia vi dirò anche che sono uno dei pochi a sapere che le isole di
Langerhans non sono in qualche oceano ma nel pancreas (avete provato, in
un salotto, a gettar là la battuta: “Sono stato alle isole di Lagerhans
in vacanza, perché ormai è una moda…”.
Garantito che troverete il cretino che vi risponde: “E’ proprio
vero, anch’io ci farò una capatina la prossima estate!”) e che le meduse
si dividono in craspedote e acraspedote mentre il “foro di Panizza” non
è un tribunale, ma una apertura che si trova solamente dentro al cuore
dei coccodrilli e Panizza non è una città né la tanto rinomata fabbrica
di cappelli bensì il nome del medico Bartolomeo Panizza che per
l’appunto andò a ficcare il naso dentro al cuore dei coccodrilli.
Direi che come prova d’esame per saggiare le mie conoscenze in
fatto di scienze naturali sia più che sufficiente e allora torniamo al
glicine che, se proprio volete saperlo, è la mia pianta preferita forse
(anzi, senza forse) perché la mia infanzia è stata caratterizzata
dall’intensità di due profumi, quello del glicine di casa mia e quello
del grande tiglio che ergeva la sua imponente mole dal cortile di
Chicchi, un vecchio amico e compagno di giochi che abitava di fronte a
me.
L’odore del glicine è la strada che conduce all’infanzia, è una chiave
che apre una porta o forse, come diceva Pier Paolo Pasolini, un abisso:
“Ti sporgi sopra i miei riaperti abissi/profumi vergine sul mio
eclissi…” (“Il glicine”), così cantava PPP pensando al glicine, che
“prepotente, feroce rinasci, e di colpo, in una notte, copri un’intera
parete…”. Ed era proprio così. La primavera scoppiava di violaceo
all’improvviso, col profumo che ti inondava e gli operosi calabroni
sospesi sopra i fiori a tessere neri voli. Chiudo gli occhi e mi ritrovò
là, come in una magia, di fronte alla casa dell’infanzia, una casa che
non esiste più e nella quale non si può più entrare, come nella
raffigurazione poetica di Guido Gozzano che parla di una vecchia casa la
cui porta è sbarrata da un intrico di glicini (“Poesia”). Il vecchio
glicine! Quando era accarezzato dal vento, sulle piastrelle sconnesse
del cortile grandinava violaceo. Lo ricorda anche Ada Negri: “il vento
del sud scrolla e devasta il tuo/pergolato di glicini./Ne piombano a
terra i corimbi, chicchi violetti/di grandine, pesanti d’un peso di
morte…” (“Il pergolato di glicini”) e nel finale della poesia mette in
guardia dal raccogliere i fiori del glicine: “ma non si raccoglie il
pianto d’amore,/non si raccolgono i fori caduti del glicine”.
Detto in altri termini non si devono raccogliere i ricordi perché la
memoria è crudele e i rimpianti sono sciocchi. Lo cantava Prevert in
quella straordinaria poesia “Questo amore”, definito “crudele come la
memoria/sciocco come i rimpianti/tenero come il ricordo”. Tenero è il
ricordo, come tenera è la notte, quella notte che rende nere tutte le
vacche, e lo disse Hegel, mica un contadino qualsiasi, per criticare la
concezione dell’Assoluto di Schelling inteso come “assenza di
differenziazione” e lo scriveva proprio due secoli fa, nel 1807,
nell’introduzione alla sua “Fenomenologia dello spirito” che, vi
assicuro, non è certo una lettura da spiaggia. Anch’io ho studiato Hegel
negli anni della mia adolescenza e ricordo la triade degli idealisti
tedeschi formata da Fichte, Schelling ed Hegel, nomi che rimangono nella
memoria come certe incancellabili triadi, “Bedin, Guarnieri e Picchi”
(la mediana della grande Inter di Helenio Herrera) o, dal momento che
sono juventino, “Furino, Morini, Scirea”. Triadi che si mescolano con
l’acre sapore del tempo, che sa di fumo, di caligini ma per fortuna sa
anche di glicine.
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
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