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Ravenna, 30 gennaio 2006


Quel pianeta con 220 gradi
sotto zero...

 

   Ci si chiede, quando non si ha altro di meglio cui pensare, se siamo veramente soli in questo sconfinato universo che ci sovrasta e ci intriga. Non so se faccia piacere a qualcuno sapere che in qualche galassia lontana possano esistere degli uomini come noi. Del resto è difficile considerare il problema. Ma al momento, se proprio vi fa piacere, un gemello universale è stato trovato. Non si tratta di un alieno né di un ominide, ma di un pianeta che, date le sue caratteristiche, assomiglia molto alla nostra Terra. E la notizia è interessante perché fino ad oggi tutti i pianeti scovati al di fuori del nostro sistema solare erano molto grandi e assomigliavano, per stazza, a Giove che, come è noto, è il pianeta più grande della combriccola che orbita attorno al Sole (ha una massa 318 volte quella della Terra). Questo pianeta, invece, è di tipo roccioso, ha una massa circa 5.5 volte quella della Terra e gira attorno al suo sole, che è molto più piccolo del nostro, compiendo una rivoluzione completa in dieci anni. Se in questi giorni ci lamentiamo del freddo, del ghiaccio e della neve, pensiamo a questo nostro gemello che è tutto gelato per via della sua temperatura che si aggira intorno ai 220 gradi sotto zero. Ah che bell’aria fresca… Il pianeta, inoltre, si trova a 20 mila anni luce da noi ed è stato scovato nella costellazione del Sagittario, assai vicino al centro della nostra Via Lattea.
   Dire che è stato scovato non è proprio esatto perché uno si immagina che qualcuno lo abbia visto e invece le cose stanno ben diversamente. Questi pianeti, infatti, non si vedono e allora come si fa a vedere una cosa che non si vede? Sembra quasi di sentire il dialogo fra Totò e Mezzacapa detto il milanese a proposito della nebbia, una cosa, dice Mezzacapa, che non si vede. Peppino de Filippo, che assiste al dialogo, si passa il fazzoletto sul collo ma Totò ne vuol sapere di più e chiede al “milanese”: “Ma se a Milano, quando c’è la nebbia, non si vede, come si fa a vedere che c’è la nebbia?”. Qui però le cose stanno diversamente e la nebbia non c’entra affatto. E’ vero che questi pianeti non si vedono perché troppo piccoli e lontani ma in compenso si vedono i loro effetti. Si usano le cosiddette “lenti gravitazionali”, che però sono una cosa troppo complicata da spiegare. Fidatevi.
   La scoperta di questo oggetto, dunque, costituisce il successo di una tecnica che, se tanto mi dà tanto, consentirà di scoprirne altri. Siamo dunque sulla buona strada. Per questa scoperta si è utilizzata una rete di telescopi e una equipe di 73 ricercatori di una trentina di centri europei (Francia, Inghilterra, Polonia, Danimarca e Germania), australiani, americani e sudafricani.
   Oggi i pianeti extrasolari sono quasi duecento e la curiosità è puntata soprattutto sul problema della vita, pallino della fantascienza ma anche degli stessi scienziati che sono curiosi di sapere se è proprio vero che siamo soli nell’universo. Il grande Einstein non credeva alla solitudine dell’uomo e l’universo gli suggeriva pensieri sublimi, come questo: “Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana e non sono sicuro della prima”.
   Evidentemente era convinto dell’infinità della seconda, anche se non credo che occorra avere il cervello di Einstein per affermare certe cose. Einstein! Era un buon suonatore di violino e amava molto Mozart. Siamo in pieno anno mozartiano e Mozart ce lo troveremo anche nel caffelatte e a questo proposito vorrei sottolineare un pensiero del grande fisico, ma prima devo fare una premessa. Sere fa ero alla presentazione del programma di “Ravenna Festival” organizzato da Maria Cristina Mazzavillani Muti, moglie del maestro Riccardo e mia vecchia amica d’infanzia, e ovviamente quasi tutto il programma era concentrato su Mozart. E’ stato ricordato anche Kierkegaard, che scrisse un saggio su Mozart (in particolare sul Don Giovanni) e anche Wittgenstein.
   Nessuno però ha ricordato Einstein e sarebbe stato meraviglioso accomunare questi due geni. Einstein, infatti, diceva che la musica di Mozart era l’unica che traduceva le grandi armonie dell’universo. Einstein è stato celebrato l’anno scorso (non certo con l’enfasi e la grancassa con le quali sarà celebrato Mozart) e sarebbe stato molto bello cogliere questo aspetto di continuità fra fisica e musica. Ma sto volando troppo in alto. Quest’anno si parlerà soltanto di Mozart. Pensavo tristemente a queste cose e all’irrealizzabile sogno di unificare le due culture. Siamo inguaribilmente umanisti. Per questo nessuno quest’anno si ricorderà di Einstein, che suonava il violino ed era certo che quelle note di Mozart fossero la misteriosa voce di quell’universo che lui tentava di spiegare.

Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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