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di memoria, cultura e molto altro...      Ravenna, 11 Marzo 2010



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Franco Gàbici è Premio Guidarello di Giornalismo.

 ...e Galileo
 puntò
 il canocchiale
 verso il cielo


  “Mi immagino le esclamazioni di stupore di Galilei quando alla fine del 1609, con il suo cannocchiale perfezionato, si rese conto che il suo strumento non era semplicemente un apparecchio ottico, ma un vero e proprio cannone puntato verso il cielo che stava mandando letteralmente in frantumi la “fabbrica aristotelico-tolemaica” dei cieli.
  Galileo, come probabilmente non tutti sanno, non fu l’inventore del cannocchiale perché questo strumento già era conosciuto e veniva costruito nelle botteghe artigiane degli ottici olandesi. Galileo lo perfezionò e se mai vogliamo attribuire a Galileo la patente dell’inventore possiamo dire che Galileo inventò un nuovo modo di usare il cannocchiale.
  Prima di Galileo, infatti, il cannocchiale era considerato uno strumento esclusivamente per le osservazioni terrestri e a nessuno era mai saltato in mente di alzare il tubo verso il cielo mentre Galileo lo fece e qualcuno a questo punto potrebbe dire, beh, bella scoperta, però sta di fatto che nessuno prima di lui aveva compiuto questo gesto.
  E una prima volta ci dovrà pur essere. Già Galileo aveva intuito che la Luna era un oggetto molto simile alla terra ma solamente quando utilizzò uno strumento a venti ingrandimenti si rese conto che le sue non erano solamente impressioni.
  E poi via via le scoperte si fecero sempre più strabilianti. La Via lattea è formata da un numero incredibile di stelle e attorno a Giove girano quattro “stelle”, una faccenda davvero straordinaria perché dimostrava urbi et orbi che nel cosmo esistevano altri oggetti che giravano attorno a un corpo centrale che non fosse necessariamente la Terra, come all’epoca si era fermamente convinti. Le sicurezze della Terra cominciarono a traballare.
  Tutto questo era davvero straordinario e Galileo si buttò a scrivere in due mesi il suo Sidereus Nuncius che uscì proprio quattro secoli fa, il 12 marzo del 1610. Il libretto è di poche pagine ma di molta sostanza e fece veramente voltar pagina al gran librone dell’astronomia.
  Già l’anno prima Keplero aveva dato alle stampe la sua Astronomia Nova (1609), ma l’astronomia che proponeva Galileo con queste pagine era ancora più nuova e avrebbe segnato la storia.

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  Il Sidereus fece molto scalpore e tutti ne parlavano. Il tipografo veneziano Baglioni ne aveva tirato solamente 550 copie che andarono a ruba in una settimana e ne fece le spese lo stesso Galileo che al posto delle trenta copie pattuite per lui ne ottenne invece solamente sei e una di queste, rilegata in maniera particolare, la spedì immediatamente al granduca Cosimo, al quale il libro era dedicato e dove stava scritto che le quattro “stelle” scoperte, e mai viste prima dagli astronomi, erano state dedicate proprio a lui e chiamate “astra medicea”. E insieme al libro spedì al granduca anche un suo strumento affinché potesse osservare di persona gli astri che gli aveva appena dedicato. In realtà non si trattava di “stelle” ma di satelliti e in particolare dei quattro satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede e Callisto) che oggi gli astronomi, anche se in questi tempi pare che siano tornati di moda i principi (vedi Sanremo, Dio mio…), chiamano invece “satelliti galileiani”.
  E intanto la gente discuteva. L’ambasciatore veneziano del re Giacomo I spedì subito al suo re una copia del libro accompagnandolo con una lettera dove si diceva “di queste cose, qui si discute in ogni dove e l’autore rischia di diventare o eccezionalmente famoso o eccezionalmente ridicolo”. E qualcuno, in effetti, affermò che le nuove stelle scoperte erano “ridicole” e che Galileo era un vero imbroglione perché spacciava come novità uno strumento che in realtà si poteva acquistare dovunque e anche con pochi soldi. E questo era vero, però era anche vero che strumenti perfezionati e precisi come quelli costruiti da Galileo non se ne trovavano in giro e dunque le accuse di imbroglione dovevano tornare al mittente, con tanti saluti.
  A poco a poco però  le cose si misero al meglio e le idee di Galileo non furono considerate balzane anzi ricevettero la ratifica di quel grande astronomo che era Keplero. Sfruttando la popolarità scatenata dal Sidereus, Galileo, che era un gran furbastro, chiese al granduca Cosimo uno stipendio di mille fiorini per poter lavorare alla sua corte e il granduca lo accontentò nominandolo matematico di corte. A Galileo, però, la cosa non andò bene perché oltre al titolo di “matematico” pretese anche quello di “filosofo” e così a partire dall’ottobre del 1610 Galileo fu investito del titolo “Matematico primario dello studio di Pisa e Filosofo del granduca”.
  Poi ci fu il riconoscimento delle sue idee da parte del Collegio Romano e Galileo fu ammesso anche alla Accademia dei Lincei. Ma una volta a Roma cominciarono i guai da parte dell’Inquisizione e iniziò un’altra pagina della vita di Galileo. Ma questa è un’altra storia che vi risparmio anche perché la sapete già. 

Franco Gàbici

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Una Canzone al Giorno  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).



 


Franco Gabici

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