Cinquant’anni fa, il 26 settembre del 1958, un giovanotto di diciannove anni, magro, un po’ zazzeruto e provvisto di grandi occhialini neri entrava nella sala di incisione di una importante casa discografica milanese.
Si era sciroppato un viaggio di oltre mille chilometri insieme a quattro compagni di ventura che avevano stipato fino all’inverosimile una vecchia Fiat 1100. Era avvenuto tutto così all’improvviso che quando i cinque entrarono nella sala d’incisione non avevano nemmeno un nome, nome che poi sarebbe scaturito quando quelli della casa discografica li raggiunsero con una telefonata per chiedere come diavolo li avrebbero dovuti chiamare.
I cinque erano del tutto impreparati alla domanda e a questo punto il chitarrista Mario Cenci si rivolse al cantante e gli disse: siccome tu ti chiami Peppino e vieni da Capri, ti chiamerai Peppino di Capri.
Quella di aggiungere al nome il paese d’origine era un’operazione che aveva portato fortuna ad alcuni suoi illustri connazionali come Leonardo da Vinci e Pico della Mirandola, tanto per fare due esempi. E a considerare come in futuro si sarebbero dipanate le cose, quel nome gli portò molta fortuna.
Peppino di Capri esordì con Let me cry, una composizione del suo chitarrista, e con altri nove brani che finirono tutti in cinque 45 giri e, caso unico nella storia della musica leggera, perfino in un 33 giri, ancorché da 25 centimetri. Nessun cantante, infatti, aveva mai esordito con un 33, essendo il 33 un punto di arrivo, una tappa fondamentale della carriera e non certo il punto di partenza.
Avrete capito, miei cari lettori, che sono un Peppinofilo della prima ora, e quando il Peppino, coi suoi Rockers (anche questo nome fu un’idea del chitarrista Cenci), cominciò a volare nell’universo delle sette note, i tempi erano magrissimi e sì e no si riusciva a strappare dalla paghetta settimanale qualche spicciolo che dopo un paio di mesi riusciva a raggiungere la quota per acquistare un 45 che a quei tempi costava intorno alle 600 lire (con lo sconto, però).
I 33 giri appartenevano decisamente ad un altro mondo. Si sapeva che esistevano, ma pochissimi erano i fortunati che potevano permettersi di portarli a casa. Questo per dirvi che il primo 33 giri di Peppino io non l’ho mai visto, anche se mi vergogno ad ammetterlo. Ma avevo appena quindici anni e un 33 costava quasi 3 mila lire. Proibitivo. Tutt’al più ci si poteva accontentare di un extended play, un 45 che conteneva quattro brani e che aveva sempre delle belle copertine a colori. Costavano circa 1100 lire, se proprio lo volete sapere.
Perché non capite “Una Canzone al Giorno”?
Le canzoni di Peppino, che in questo settembre festeggia i suoi primi cinquant’anni di carriera, hanno accompagnato tutti i miei anni liceali.
Le conoscevo tutte a memoria, con tanto di autori e molte riuscivo anche a cantarle accompagnandomi con la chitarra, che non essendo elettrica, non poteva riprodurre certi effetti di eco o di vibrati che conferivano alla canzone un’atmosfera tutta particolare. Come Ghiaccio, ad esempio, o Teach you to rock o When o quel fantastico inizio di Nun è peccato. Ragazzi che emozioni quando il chitarrone di Mario Cenci liberava questi suoni!
Ma anche il sassofono di Gabriele Varano era magico.
Pensate all’inciso di Let me cry o al duetto con la chitarra in Malatia o a Lassame. Allora erano pochissimi gli effetti e gli accorgimenti nelle sale d’incisione eppure in Voce ‘e notte si era riusciti a ricreare la voce del mare facendo agitare della sabbia dentro a un barattolo e forse il batterista Ettore Falconieri, detto Bebè, usava un barattolo per dare la cadenza a I’ te vurria vasà ottenendo un effetto incredibile.
Completava il quartetto dei Rockers il bassista Pino Amenta, che in Speedy Gonzales si esibiva nel lallalààààà iniziale e dava la voce al topolino.
In quella prima fantastica stagione targata “Carisch” (questa era la sua prima casa discografica che lo mise sotto contratto) Peppino sfornò 90 singoli, 17 EP e nove 33, una stagione che si concluse undici anni dopo, il 2 settembre del 1969, con Munastero ‘e Santa Chiara e Malafemmena dell’indimenticabile Totò.
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
Ma già i Rockers non erano più quelli di prima. Della vecchia guardia restarono Ettore Falconieri e Pino Amenta mentre Piero Braggi sostituì il chitarrista Cenci e Gianfranco Raffaldi sostituì con le tastiere il sassofono di Varano.
Ma Peppino restò Peppino, anche quando fondò la Splasch e lanciò il suo primo 33 della nuova serie, con copertina apribile ricoperta di velluto rosso. E dentro si leggevano queste bellissime considerazioni di Giuseppe Marotta: «La tua voce, dopo tutto, è la migliore del mondo: la sola che sembra uscire dal mio guanciale e rientrarvi. E’ nuova ed è antica. Cantami una mezza Canzone appassiunata, arrangiata da te. Così la mia scialba morte sarà di oggi e di ieri, dondolante fra il 1961 e il 1920, una morte senza età».
Occorreva un poeta per definire la voce dell’isola, che oggi compie cinquant’anni di carriera. Ad multos annos, caro Peppino, voce fantastica che ha fatto da colonna sonora agli anni più spensierati della nostra vita. Avevo riempito i nastri del mio Geloso con i successi di Peppino, registrati in maniera artigianale da una vecchia radio durante il «Quarto d’ora Carish» che trasmetteva sempre due canzoni del Peppino intervallate da altri interpreti, come il cantante Gianni Mascolo o il complesso de «I cinque Rizzo». E alla sera, mentre compicciavo i compiti per il giorno dopo, mi lasciavo cullare da quelle canzoni e immaginavo il Peppino con le sue giacche di lamè che allestivano un’atmosfera che nemmeno il brandy reclamizzato da Gino Cervi riusciva a creare.
Ma Peppino era Peppino e la sua voce era la chiave che apriva lo scrigno dei nostri sogni beati.
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoConversazione su “Una Canzone al Giorno” per riascoltare la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
Franco Gàbici
P.S. - Molte canzoni di Peppino di Capri sono state inserite nel mio libro «Una canzone al giorno» (Simonelli Editore). Affrettatevi a leggerlo, non ve ne pentirete.
Commenta quanto hai letto sul Blog che dà liberamente voce al pensiero di tutti: The Web Park Speaker's Corner
Per scrivere a Franco Gàbici
Clicca qui
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
Sei una Banca o un imprenditore e vorresti fare un'intelligente sponsorizzazione culturale? Scrivici: ed@simonel.com Noi qualche idea interessante ce l'abbiamo... CLICCA QUI
Iscriviti al NUOVO The Web Park Speaker's Corner
di Simonelli Editore