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Ravenna, 27 marzo 2006


  Stakanov?!
  È Arthur Winston il superlavoratore

   Io non so cos’abbia fatto Stakanov per meritare che dal suo nome venisse coniato il neologismo che definisce il lavoratore indefesso, ma qualsiasi cosa abbia fatto non credo che avrà eguagliato ciò che ha fatto invece l’americano Arthur Winston, definito a ragione l’impiegato americano del secolo. Arthur è nato il 22 marzo del 1906 e dunque appartiene alla schiera dei fortunati centenari, ma contrariamente agli arzilli vecchietti che trascorrono il tempo portando a spasso il cane o andando a pesca o standosene seduti in poltrona lui continua a lavorare.
   Dipendente da una vita (è proprio il caso di dirlo!) della Pacific Electric Railway, la compagnia dei trasporti pubblici elettrici di Los Angeles, ha lavorato ininterrottamente per 72 anni disertando il lavoro solamente una volta, il giorno in cui accompagnò sua moglie all’ultima dimora. E in tutti quegli anni si è sempre presentato puntuale, senza mai conoscere il ritardo. Meritata pensione? Macché.
   Alla vigilia del suo centesimo compleanno la “99 Cents Only Stores”, la catena dei negozi che vende tutto per meno di un dollaro (una sorta dei nostri “Tutto a un euro”), lo ha chiamato come “portavoce onorario”. E lui ha accettato perché i suoi progetti futuri non prevedevano di certo l’ammuffimento fra le pareti domestiche. Arthur ha confessato che questa passione del lavoro gli fu inculcata dal padre, che tutte le mattine lo tirava giù dal letto alle sei in nome dello slogan “l’ozio è il padre dei vizi”. La prima cosa che ho pensato e che Arthur abbia lavorato davvero come un negro, ma poi leggo che “nero” lo era per davvero e che il colore della sua pelle gli ha comportato non pochi problemi.
   Iniziò a raccogliere cotone nelle piantagioni come tutti i “neri” e quando finì nella ditta di trasporti di Los Angeles cominciò a pulire le carrozze anche se il suo sogno era quello di fare il pilota di bus, ma la segregazione glielo impedì. Poi, quando gli offrirono la possibilità di realizzare il suo sogno, declinò l’invito in nome dell’altra saggia massima che “accontentarsi è il segreto della felicità”.
   E tutto questo accade a settant’anni dall’uscita del libro di poesie di Cesare Pavese dal titolo “Lavorare stanca”, pubblicato dalle edizioni di Solaria, un titolo che sicuramente il “vecchio” Arthur non avrebbe capito. Qui da noi abbiamo sempre fatto dell’ironia sui lavoratori e nel nome del nostro tirare a campare si è sempre preso in giro la gente che lavora sodo. “Il lavoro nobilita l’uomo e lo rende simile alle bestie” è una delle massime più conosciute che fa il paio con l’altra: “Se ti viene la voglia di lavorare, fermati, può darsi che ti passi!” e via discorrendo. Forse per questo motivo non esiste nella nostra lingua il modo proverbiale “lavorare come un bianco”.
   Il lavoro è considerato fatica e seccatura e il “non lavorare” è considerata impresa di cui vantarsi. Non si contano poi le battute sul pubblico impiego, tipo questa: “Il marito modello è l’impiegato pubblico, perché quando torna a casa non è stanco e ha già letto il giornale”.
   Sul “lavoro” scrisse il grande Luciano Bianciardi (“Il lavoro culturale”) che pure stimava la gente che lavorava sodo, come i minatori ad esempio, coi quali spesso si tratteneva a parlare. E faceva dell’ironia su chi invece faceva finta di lavorare, come certi intellettuali. Quando andò a lavorare alla Feltrinelli fu licenziato e lui, un gigante dell’ironia, così spiegò la motivazione: “Mi licenziarono soltanto per via di un fatto, che io strascico i piedi, e poi mi muovo piano, mi guardo intorno anche quando non è indispensabile”. Poi, però, aggiunge: “La verità, cara mia, è che le case editrici sono piene di fannulloni frenetici, gente che non combina una madonna dalla mattina alla sera e riesce, non si sa come, a dare l’impressione fallace di star lavorando. Pensa, si prendono pure l’esaurimento nervoso”.
   Sulla questione del lavoro non poteva mancare la battuta di Leo Longanesi, che da gran conoscitore dei suoi connazionali uscì con questo aforisma sul nostro paese “fondato sul lavoro”. Leo la pensava così: “Una società fondata sul lavoro non cerca che il riposo”. E anche quella volta il grande Leo vide giusto.

Franco Gàbici
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La citazione di Bianciardi è tratta da “L’antimeridiano”,
il volume che raccoglie tutte le opere di Luciano Bianciardi (Isbn Edizioni).

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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Franco Gabici

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