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Ravenna,
4 Ottobre 2006
Addio a Luigi
Malabrocca, la più grande "maglia nera" del ciclismo
italiano
Non
era facile, per noi ragazzini degli anni Cinquanta, condividere la
filosofia di Malabrocca, quello che arrivava sempre ultimo a tutte le
corse e che al giro d’Italia sventolava con orgoglio la sua maglia nera
di Calimero delle due ruote. Era difficile, per noi ragazzini schierati
immancabilmente dalla parte dei campioni, capire la filosofia di questo
atleta del quale non conoscevamo nemmeno il volto perché le prime pagine
dei giornali e le figurine che ci scambiavamo erano tutte dedicate a
Coppi, Bartali e Magni, la famosissima triade del pedale, e a pochi
illustri gregari.
Era difficile capire questo Malabrocca, con quel nome che pareva
fatto apposta per arrivare sempre ultimo, infischiandosene della maglia
rosa, del primo posto sul podio e del bacio della miss. Eppure tutti
conoscevano Luigi Malabrocca, il cui nome faceva il paio con la sua
“maglia nera” che amava cucirsi sulla pelle e che probabilmente non
avrebbe mai barattato con la fiammante maglia rosa. E aveva ragione lui.
Chi ricorda più, oggi, a distanza di tanto tempo, qualche corridore che
in passato indossò la maglia rosa per un giorno o due? Tutti, invece,
ricordano Malabrocca e la sua maglia nera. Dunque, aveva ragione lui,
che sembrava avere interpretato la massima evangelica degli ultimi che
sarebbero diventati primi.
Luigi Malabrocca è morto alcuni
giorni fa in un paesino vicino a Pavia, San Biagio di Garlasco, a
ottantasei anni di età e i giornali gli hanno dedicato spazio. A lui,
alla sua inseparabile “maglia nera” e a quel suo pedalare
controcorrente. A modo suo fu anche profeta e portatore sano di una
filosofia che oggi sicuramente farebbe a cazzotti con la becera
mentalità dei nostri tempi, che attraverso i suoi mass media incita la
gente ad essere sempre prima in tutto. Perfino la pulizia del pavimento
di casa diventa una occasione di competizione per arrivare primi in
lucentezza. I nostri non sono tempi che inneggiano agli ultimi, anzi
essere ultimo significa quasi essere un niente, un uomo a metà.
Malabrocca, invece, capì che l’essere ultimi poteva condurre alle stesse
soddisfazioni dell’essere primi. E pedalò tutta la vita per questo suo
ideale.
Ho ancora nel naso l’antico sapore della terra sulla quale ci chinavamo
per far correre palline di terra cotta (quelle di vetro erano ancora di
là da venire) o lattine di bibite sulle quali avevamo inserito i nomi
dei campioni del pedale. Avevamo le ginocchia sporche e la testa
ingombra di sogni. La nostra fantasia volava libera e la radio esaltava
le imprese dei campioni. La voce di Ferretti annunciava “un uomo solo al
comando” mentre arrancava sulle aspre salite del Giro o del Tour. Non
c’era posto, in questa epopea, per la maglia nera di Malabrocca, che
arrivava puntualmente al traguardo sul limite del “fuori tempo massimo”
quando ormai il podio della premiazione era stato smontato e gli addetti
alla corsa portavano via tribunette e transenne per trasferirle al
prossimo arrivo di tappa. Non c’erano fiori e applausi per lui, re degli
ultimi per scelta di vita. Ma non fu facile per lui essere ultimo perché
anche la maglia nera sottendeva una rivalità. Non c’era solamente la
coppia antagonista “Coppi e Bartali” ma c’era anche la coppia,
sicuramente meno famosa, “Malabrocca e Carollo”. Sante Carollo era un
muratore di Vicenza che all’ultimo momento, in un giro degli anni
Quaranta, sostituì Fiorenzo Magni e che, probabilmente senza saperlo,
ingaggiò con Malabrocca una battaglia per l’ultima piazza. Insomma, era
complicato anche arrivare ultimi!
Carollo, però, si ritirò quasi subito dall’attività agonistica e
Malabrocca restò indiscusso re della classifica a rovescio. E mica era
un brocco il Malabrocca! Anzi. In quella specialità massacrante che è il
ciclocross si vestì di fango e di gloria conquistando anche il titolo
italiano della specialità. Ma nelle corse a tappe aveva scelto di
arrivare sempre ultimo, guadagnano fama e anche qualche lirazza. E’
uscito anche un libro, dal titolo “Coppi, Bartali, Carollo e Malabrocca.
Un racconto di strada” a firma di Benito Mazzi (Ediclo Edizioni) e dal
libro fu anche ricavata una piece teatrale di Massimiliano Gracili e
Benito Mazzi che fu rappresentata il 25 maggio dello scorso anno a
Pordenone, dopo l’arrivo di tappa.
La “maglia nera” fu abolita negli anni Ottanta perché per chi arriva
ultimo non c’è nessuna misericordia. La nostra società non tollera gli
ultimi. Per questo sono finiti i tempi di Luigi Malabrocca, detto “il
cinese”, che ora immagino mentre sta pedalando in mezzo alle nuvole. Un
campione fuori tempo. Come fuori tempo sono sempre stati i grandi.
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
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