Già mi immagino cosa diranno i soliti soloni, quelli dello slogan “non sta qui il problema…”, quelli che anziché prender decisioni sulle congiunture presenti se ne vanno alla ricerca delle motivazioni “a monte” (e perché non “a mare”? Mah, forse perché in montagna si sta più freschi…), già mi immagino le reazioni sull’ultima proposta della Gelmini, nostra ministra dell’istruzione che dopo aver rispolverato l’idea del grembiulino propone adesso un voto in condotta che faccia media.
Quando andavo a scuola, e ne è passata di acqua sotto i ponti, il voto in condotta era una importante cartina di tornasole e rappresentava una sorta di “scala Mercalli” del comportamento dell’alunno. Il “dieci” in condotta era riservato alle ragazze e a qualche secchione. Chi si buscava un “dieci” era un tipo che sicuramente non era inserito nel gruppo dei maschi, era un animale che faceva gruppo per conto proprio, di quelli che si ingobbivano sui libri, di quelli che quando suonava la sospirata campanella anziché correre fuori a fumare una sigaretta si attaccavano al professore per chiedere delucidazioni o approfondimenti sulla lezione appena terminata. Un essere abominevole, insomma.
Il “dieci” in condotta era insomma un po’ così. Per i maschietti vivaci ma pur sempre educati restava il “nove”, voto tutto sommato accettabile. Avere “otto” in condotta significava invece appartenere a una categoria turbolenta, poco studiosa e spesso un “otto” in condotta rifletteva una pagella non molto bella, una di quelle che portavi a casa quasi di nascosto e che facevi firmare dalla madre, sempre benevola verso i figli scavezzacollo. Il padre, si sa, era sempre fuori per lavoro e poi certe faccende erano delegate alle madri ed era meglio così perché se mio padre fosse venuto a sapere dell’”otto” in condotta sarebbero stati dolori. Il “sette”, poi, era una faccenda da lazzaroni e veniva affibbiato a chi si mostrava irriverente o chi faceva collezione di “sospensioni”. E il “sette” in condotta, se non ricordo male, aveva anche una pesantissima ricaduta sulla valutazione finale. Chi aveva “sette” in condotta riparava a settembre tutte le materie. Non c’erano santi.
Perché non capite “Una Canzone al Giorno”?
Magari voi direte che questa storia dei voti era una faccenda medioevale che limitava la libertà dell’individuo. Ma chi pensa queste cose deve sapere che ai nostri tempi non esistevano gli psicologi di sostegno e che se uno si beccava un brutto voto se lo teneva e stava zitto. A casa, poi, succedeva il resto e mai nessun genitore si sognava di andare a parlare con professore per sostenere la causa del figlio. Un quattro in matematica stava a significare due cose: o lo studente aveva studiato poco e dunque il quattro era meritatissimo oppure lo studente era uno zuccone e allora era meglio che cambiasse scuola. Chi non aveva dimestichezza coi rubinetti che riempivano vasche con lo scarico aperto e con il conseguente calcolo del tempo impiegato a riempirle doveva cambiar scuola. E infatti ai miei tempi esistevano le cosiddette scuole di avviamento professionale, frequentate da chi aveva poca dimestichezza con lo studio. E magari questa gente la si guardava dall’alto al basso. Poi, magari, un bel giorno chiami a casa l’idraulico e noti che l’idraulico è proprio quel tuo compagno di scuola che non sapeva calcolare in quanto tempo una vasca con lo scarico aperto veniva riempita da un rubinetto ma che ha imparato benissimo a ripararli e alla fine del lavoro ti sbatte sotto al naso una fattura con una cifra che tu, con la tua bella laurea in tasca, non guadagni certo con la stessa sua facilità.
Adesso invece la musica è diversa. Il genitore pensa al proprio figlio come a un novello Einstein e dunque è impensabile che possa meritare un brutto voto. Se a scuola va male la colpa è ovviamente del professore. Oggi non credo che gli studenti temano di portare a casa brutte pagelle perché sono certi di trovare nei genitori degli strenui difensori della loro causa. E le conseguenze sono sotto agli occhi di tutti.
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Se proprio lo volete sapere io sto con la ministra e dunque ben venga la rivalutazione dell’antico voto della condotta. Un po’ di disciplina non guasta ma purtroppo la parola disciplina è sempre stata demonizzata, almeno da un po’ di tempo a questa parte. Oggi viviamo in tempi in cui chi applica la legge è considerato fascista e di destra. Il fatto è che siamo un popolo di gente allegra e che delle leggi non sa proprio cosa farsene. Chi guida l’auto non mette quasi mai la cintura di sicurezza e se ha bisogno di telefonare usa tranquillamente il cellulare. I limiti di velocità sono optional e chi li rispetta è un fesso. Del resto siamo sempre stati un paese di furbi. È il nostro vanto. Tant’è che anche la cartellonistica ha dovuto aggiornarsi e aggiungere alle scritte “è vietato…” un eloquente “è severamente vietato…”. E quel “severamente” dà licenza di infrangere. Siamo veramente un popolo eccezionale. Giolitti, mi sembra che l’aneddoto abbia lui come protagonista, a chi gli chiese se fosse difficile governare gli italiani rispose che non era affatto difficile, ma era inutile. Siamo veramente da zero in condotta!
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(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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