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Ravenna, 5 Dicembre 2006

 
A proposito di Celentano, Diana,
 Mozart, Einstein ed Herman Hesse...

   Supponiamo che Leonardo da Vinci, giunto alla fine della sua vita, avesse deciso di dipingere un’altra Madonna del Garofano quarant’anni dopo, la ­diciamo così, ­ prima edizione.
   Se si fosse verificato un evento del genere oggi avremmo due “Madonne del Garofano” e chissà mai i critici cosa ti avrebbero inventato. Si sarebbero immancabilmente formati i due partiti e le discussioni sarebbero andate avanti all’infinito.
   Questa idea strampalata mi è nata nella mente dopo aver appreso la notizia che Adriano Celentano il “Molleggiato” ha lanciato un CD tris che ripercorre tutta la sua carriera artistica attraverso le canzoni che hanno decretato il suo straordinario successo. L’idea di Celentano non è nuova, perché ogni artista (parlo della musica leggera, ovviamente) a un certo punto della sua vita decide di fare la compilation dei suoi successi. Ma quello che gli artisti non sanno (o fingono di non sapere) è che i loro successi sono stati decretati da canzoni scritte e cantate cinquant’anni fa e che i veri fans sono legati proprio a quella canzone. Il remake è roba patetica. Da reduci dalle patrie battaglie. Io facevo il tifo per Celentano quando cantava “Il tuo bacio è come un rock o “Impazzivo per te” (mai mai mai piu-ù, t’amerò così tanto per tutta la vita…), che ascoltavo da un 45 giri della Jolly (con l’etichetta blu) oppure quando andavo al cinema a vedere “Urlatori alla sbarra”.
   Dunque, Celentano ripropone le sue canzoni e fra queste inserisce anche quel grandissimo successo che fu (e che è) la mitica “Diana” (che, come è noto, si pronuncia “Daiana”) di Paul Anka. La propone in italiano, con un nuovo testo inventato dall’intramontabile Mogol. Anche in questo caso il Molleggiato è arrivato tardi perché gia Paul Anka, quando passò alla Rca, a un certo punto decise di interpretare tutti i suoi successi nella nostra lingua e fra questi ci fu anche “Diana”, che iniziava così: “Oh Daiana solo tu, mi conquisti sempre più, non c’è al mondo, credi a me, chi mi piaccia più di te, la ragazza del mio cuor, che mi avvince col suo amor, oh, sei tu, sei tu, Daiana…” e poi via con i sassofoni. Era una robetta un po’ così, ma ascoltata dalla voce esotica di Anka era bellissimo.
   Davvero.
   Però, siamo seri, non c’era paragone con la “Diana” originale, quella orchestrata e arrangiata da Don Costa e che scoppiò come una bomba nel 1957, giusto cinquant’anni fa. Chi non ha vissuto quel periodo non può capire l’impatto di quella musica nelle nostre case, abituate ad ascoltare le melense melodie della radio.
   “Diana” fu diffusa da tutti i juke-box del globo e il suo tornado giunse in quelle contrade dove ­ così ricordo di aver letto in un articolo dell’epoca ­ l’unica canzone conosciuta era “Mamma” cantata da Beniamino Gigli. E adesso, sentirla strapazzata così, rifatta e ricantata mi piange un po’ il cuore e così andrà a finire che non la ascolterò nemmeno. E invece, cari miei, hanno voluto a tutti i costi creare l’evento.
   Il tipetto con la barbetta che conduce due trasmissioni di fine settimana l’ha menata parecchio col fatto che avrebbe avuto come ospite nientemeno che Adriano Celentano e addirittura aveva messo su un orologio con il conto alla rovescia per scandire l’avvenimento. Siamo proprio fuori di testa. Davvero. Poi il ragazzo col pizzetto sembrava divertirsi a creare una atmosfera di mistero: arriverà, non arriverà?
   La risposta più giusta sarebbe stata un bel “chissenefrega”, ma invece il popolo che si sciroppa le “isole-dei-famosi” o i giochi con le scatole sembra aver tenuto il fiato sospeso fino all’atto liberatorio che ha coinciso con l’epifania celentanesca sul video, coi suoi silenzi e con quel suo fare che i bambini di una volta definivano “spirito di patata”. Ma tant’è, il mondo va così e mentre penso a “Diana” e a Celentano mi vien fatto di ricordare che sta per terminare l’anno dedicato alle celebrazioni mozartiane, per carità lungi da me paragonare Paul Anka a Mozart però si tratta pur sempre di musica e mi sembra che nessuno abbia ricordato due grandi personaggi che in qualche modo sono legati a Mozart, vale a dire Einstein ed Hesse.
   Einstein, che come tutti sanno si dava da fare a suonare il violino, era un grande appassionato di Mozart e una volta ebbe a dire che secondo lui la musica di Mozart era l’unica che traducesse le grandi armonie dell’universo, che è una di quelle belle frasi che dice tutto e che non dice nulla ma che sicuramente fa effetto e poi certe armonie, secondo Pitagora, erano bellissime sì, ma per ascoltarle occorreva essere dotati di un udito sopraffino e dunque nessun mortale poteva goderne.
   Per Hermann Hesse, invece, la storia è diversa perché nel suo “Il lupo della steppa”, che è un libro straordinario che tutti dovrebbero leggere, il protagonista Harry Haller alla fine del romanzo incontra, preceduto da un’aria del “Don Giovanni”, Mozart in persona e fra i due si stabilisce un dialogo. Hesse definisce il grande musicista “quel dio della mia gioventù, quella meta perpetua del mio affetto e della mia venerazione” e il “Don Giovanni” viene presentato in questo modo: “un’opera di getto, un’opera perfetta gli uomini non l’hanno più fatta dopo il Don Giovanni”. Dal canto suo Mozart, che in questa specie di visione incontra anche Brahms e Wagner, si lascia andare a giudizi interessanti: “Solo quando avranno scontato la colpa del loro tempo, si vedrà se rimane ancora quel tanto di personale che meriti di essere preso in considerazione” e questa è sicuramente una considerazione che potrebbe essere usata da qualche maestro di musica per fare una bella figura davanti al suo pubblico. Non dimentichiamo, infine, le riflessioni del grande Kierkegaard nei confronti di Mozart e del suo “Don Giovanni”. Da “Diana” siamo arrivati a Mozart. Le vie che percorre il nostro pensiero sono davvero straordinarie!

Franco Gàbici

Le citazioni sono tratte da H.Hesse, “Il lupo della steppa”, Milano, Mondadori, 1972 (traduzione di Ervino Pocar) alle pagine 265 e 267.


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Giornalista Professionista, pluriennale esperienza, anche di direzione, in quotidiani, periodici e case editrici di libri, profonda conoscenza del Web e di tutti i maggiori software (da QuarkxPress a Word, OpenOffice, Front Page, BBedit, Adobe PhotoShop, Adobe Acrobat, Scansoft Pdf Converter Professional, DNL, ReaderWorksPublisher, Transmit, Fetch, Eudora,  WinZip, WinRAR, StuffIt, ABBYY Fine Reader), in grado di operare professionalmente sia in ambiente Windows che Mac, utilizzando collegamenti FTP in ambedue le piattaforme,  mette a disposizione la sua competenza esperienza e professionalità come content webmaster,  come coordinatore in remoto di team operativi per l'ideazione, lo sviluppo e l'aggiornamento di portali, come docente in corsi o master per la preparazione di professionisti della comunicazione online. Se interessati a questa figura professionale inviare una e-mail ad ed@simonel.com specificando nel Soggetto: Inserzione 4247A. Sarete direttamente contattati dall'interessato.

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

 


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