Nel 1960 cantavo allegramente “La gatta”, una bella canzoncina scritta da Gino Paoli e alla quale ho dedicato pure una scheda nel mio libro “Una canzone al giorno” (Simonelli Editore). A questa canzone sono particolarmente affezionato, innanzitutto perché nel 1960 avevo diciassette anni e la testa piena di sogni, e poi perché anche a me capita spesso di ricordare una gatta che pur non avendo una macchia nera sul muso era pur sempre un felino che mi teneva compagnia e che faceva le fusa quando suonavo la chitarra (anziché studiare) e poi, frrrr…, un refolo di vento ha fatto girare le pagine del grande libro della vita e tu ti ritrovi a ripensare alla gatta quando attorno a te tutto è cambiato, “ora non abito più là, tutto è cambiato non abito più là, ho una casa bellissima, bellissima come vuoi tu. Ma io ripenso a una gatta, che aveva una macchia nera sul muso…”.
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Pensavo a queste cose alcuni giorni fa mentre ammiravo la casa di Francesco Petrarca, il cantore di Laura che però amava moltissimo i gatti al punto che in una nicchia, dentro alla casa, se ne vede uno imbalsamato. Non si tratta però del gatto di Petrarca, ma di un animale che qualcuno ha voluto inserire qualche anno più tardi per ricordare ai posteri l’amore del poeta nei confronti di queste bestiole. Si dice addirittura che il suo amore per il gatto superasse addirittura quello di Laura, dal che si possono dedurre due considerazioni: o il gatto di Petrarca era per davvero una gran bella bestia o Laura era proprio brutta.
Ma la cosa che più mi ha intrigato pensando a Petrarca è che il suo “Canzoniere” è formato da 366 componimenti poetici, una al giorno comprendendo anche gli anni bisestili e allora, pensando al mio “Una canzone al giorno”, mi sono detto stai a vedere che il vecchio Francesco ha avuto la mia stessa idea e poi questa storia della gatta, dai, ma guarda che bella combinazione, mi sono sentito insomma fratello di Petrarca e mi sarei messo a cantare, mentre guardavo il bel paesaggio dei colli Euganei, “Zephiro torna, e ‘l bel tempo rimena/e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,/et garrir Progne et pianger Philomena…”, dove Progne sta per la rondine e Philomena per l’usignolo, ma possibile che questa gente si ostinasse a non chiamar le cose coi loro nomi, anche Jacopo Sannazzaro nella prima ecloga della sua “Arcadia” chiama la rondine Progne, “Progne ritorna a noi per tanto spazio/con la sorella sua dolce cecropia/a lamentarsi de l’antico strazio” e ditemi voi se un povero cristiano dovrebbe capire che “cecropia” indica l’usignolo e che “l’antico strazio” starebbe a indicare invece una triste storia di abusi sessuali.
Dunque, io me ne stavo tutto immerso nei pensieri petrarcheschi quando proprio all’interno della casa del poeta incontro per caso una coppia di americani della California che si lamentano del nostro paese perché un autobus al mattino li ha portati fino ad Arquà ma nel pomeriggio sembra che non esista nessun mezzo per il ritorno e allora io, per non far sfigurare il nostro paese, mi sono offerto per riaccompagnarli al piano, lui è un simpatico americano che insegna storia antica all’università e mi dice che negli anni Cinquanta e Sessanta è stato in Italia come studente e io immagino che mi faccia partecipe dei suoi ricordi artistico-letterari e paleocristiani e invece mi canta “Volare oh oh”, si informa se in Italia esiste ancora “Sanremo” (sì, purtroppo, è stata la mia risposta poco entusiastica) e poi cita “Abbronzatissima”, che lui storpia in “Bronzatissima” e per farmi capire che sta parlando di cose che conosce perfettamente aggiunge, in un italiano americanizzato, “a due passi dal mare”, ah l’Italia, e la moglie lo rincalza ricordando pure “I Watussi”, insomma sembra che questi americani avessero ficcato dentro alle loro valigie solamente le allegrie di Edoardo Vianello. Arriva un americano in Italia e tu credi che gli siano rimasti impressi il Colosseo e le bellezze di Roma e questo ti canta invece “Abbronzatissima”, ma quelli erano ricordi giovani e del resto anch’io, nel mio piccolo, dopo che andai a visitare l’Isola d’Elba durante una gita scolastica, non mi ricordai di certo la dimora di Napoleone ma l'ottimo vinello dell'isola che si chiamava Aleatico. Ecco che cosa mi sono ricordato di quella gita scolastica.
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Con gli americani, poi, abbiamo parlato anche di Federico Fellini e di Michelangelo Antonioni e il professore mi ha invitato ad andare a visitare una delle case di Nicolò Machiavelli che si trova in un paesino della Toscana del quale accidenti mi sono scordato il nome, vedi cosa succede a fidarsi della memoria, e dove nella cantina sono conservate una quantità incredibile di botti per il vino. Il professore americano sembrava davvero sconvolto di questa sua scoperta e allora io ho pensato ma guarda che razza di cultura ti veicolano a scuola, ti parlano di Machiavelli e del suo “Principe” e magari anche della “Mandragola”, ma mica ti dicono che nella sua casa ci sono le botti per il vino.
E a proposito di Machiavelli lo sapevate che Benito Mussolini, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi hanno curato, seppure in tempi diversi si capisce, delle edizioni del “Principe”? Scommetto che se lo viene a sapere Walter Veltroni ne farà senz’altro una quarta versione per non essere da meno!
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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