Aprile è “il più crudele dei mesi” perché, scrive Eliot, “genera lillà da terra morta, confondendo memoria e desiderio, risvegliando le radici sopite con la pioggia della primavera…”.
Aprile è appena passato e nessuno si è ricordato di Orio Vergani, che lasciava questo mondo proprio cinquant’anni fa, il 6 aprile del 1960. E se aprile è il più crudele dei mesi, anche noi siamo crudeli e questa definizione di Vergani capita a pennello in questo momento in cui assistiamo attoniti all’ennesimo disastro ambientale. Sentite cosa scrive Vergani a proposito dell’uomo: “Siamo il più evoluto e il più crudele tra i prodotti delle muffe e degli umori che coprono la crosta terrestre. Siamo noi che a sassate abbiamo ucciso i dinosauri. Siamo il microbo-uomo ancora in lentissima via di trasformazione. Abbiamo perduto la coda da poco tempo: e il maschio ha ancora, per quanto inutili, le mammelle. Siamo il solo microbo che dice le bugie”.
Le pagine del suo “Misure del tempo” sono uno straordinario rendez-vous con tantissimi personaggi visti da vicino, anzi sarebbe meglio dire “fotografati” da vicino perché Vergani fu anche uno straordinario “reporter” tant’è che molti lo considerano ancora oggi il primo fotogiornalista italiano.
Vergani, inoltre, insieme a una dozzina di amici dette vita nel 1926 al “Premio Bagutta” e scrisse una commedia, “Il cammino sulle acque”, messa in scena da Luigi Pirandello. E il teatro l’aveva proprio nel sangue perché suo zio era Vittorio Podrecca, fondatore del “Teatro dei Piccoli”. E un po’ di teatro rimase appiccicato anche a sua sorella Vera Vergani che fu una delle prime interpreti dei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello presentata dalla compagnia di Dario Niccodemi.
Ma fra gli zii contava anche quel Guido Podrecca che aveva fondato il giornale anticlericale “L’Asino”.
Già nelle mie “Bollicine” ho avuto modo di parlare di questo straordinario personaggio, una volta per segnalare il suo bellissimo ricordo di Tazio Nuvolari e un’altra volta per parlare di “Settimana di Dublino”, un suo libro uscito nel 1959 che non racconta vicende legate alla capitale dell’Irlanda bensì l’avventura di un cavallo che si chiamava “Dublino” e che tirava la carrozzella, probabilmente una delle ultime.
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Ma c’è dell’altro. Ai primi di gennaio è stato ricordato il cinquantenario della morte di Fausto Coppi, un atleta al quale Vergani ha prestato particolari attenzioni. Aveva anche scritto libri sul “Campionissimo” ed è strano come a nessuno sia venuto in mente una accoppiata “Coppi-Vergani” per una operazione editoriale che sicuramente avrebbe avuto successo. Vergani volle seguire il campione anche nell’ultimo giro d’Italia, quello del 1959 vinto da Charly Gaul, e precisamente nella tappa Rimini-San Marino che vedeva il grande Fausto andar su “non peggio di molti altri e il suo calvario non era più penoso di quello di tanti giovanotti della carovana pedalante. Andava su – continua Vergani – fra grida beffardamente crudeli: ‘Mandatelo a casa, vendetegli la bicicletta’. Chi suggeriva quelle grida era l’antico spirito del Colosseo, dove non si perdonava ai gladiatori arrugginiti: amare sentenze della folla, delle roche voci giustiziere”. E tutto questo torna buono in questo maggio quando è alle porte un nuovo Giro d’Italia, il novantatreesimo di una lunga striscia partita nel 1909 e che quest’anno prenderà il via da Amsterdam. E se Mario Rigoni Stern aveva ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul suo mitragliatore arroventato e dentro alle orecchie il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe e tanti altri rumori, io invece conservo dentro ai miei condotti cocleari il ronzio metallico dei “Giri d’Italia” della mia infanzia, che in diverse occasioni sono transitati per la mia città (Ravenna) con la loro carovana multicolore. Io tifavo per Bartali perché era cattolico e portava all’occhiello senza vergognarsene il distintivo della Giac (Gioventù italiana di azione cattolica), ma Coppi era Coppi, noi bartaliani dovevamo ammetterlo seppure a malincuore. Era di maggio, il mese delle rose, il mese della Madonna, con la funzione serale della sera preceduta dai giochi sul sagrato ancora caldo di sole con don Luigi. Il Giro, Coppi, Bartali, Vergani, il maggio… c‘erano anche le rondini, ubriache di sole e di cielo. Le vedo anche adesso mentre intessono arabeschi sul cielo della sera. Ma quelle di una volta sembravano più allegre. O forse è solamente un’impressione.
Franco Gàbici
Le citazioni di Vergani sono tratte da: O.Vergani, Misure del tempo. Diario 1950-1959, Milano, Leonardo, 1990.
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).