Sarò stato poco patriota, fate voi, ma io, mentre l’Italia azzurra stava offrendo il suo patetico spettacolo mondiale, mi trovavo dentro al Palazzo Ducale di Mantova insieme a Romina, accompagnati da Rodolfo Signorini che da bravissimo Virgilio (io da Ravenna, che conserva le spoglie di Dante, lui di Mantova, città natale di Virgilio, non so se mi spiego...) ci ha fatto trascorrere un pomeriggio coi fiocchi.
Rodolfo Signorini è una vera autorità, lo spiritello culturale di Mantova, che ha avuto il suo quarto d'ora di celebrità quando negli anni Settanta dette il nome a certi volti della mitica “Camera degli sposi”, non chiamatela così, però, sennò Rodolfo si arrabbia, chiamatela “Stanza picta”, o chiamala se vuoi, emozioni, sì proprio emozioni, un fiume di emozioni che esce torrenziale dal viso di Rodolfo che quando ti spiega la “sua” camera si illumina veramente di immenso. E se non ti illumini nemmeno tu vuol dire che sei proprio uno smidollato.
Ne cito due, di volti: il Mantenga e Cristiano di Danimarca.
Quando lo venne a sapere, la regina di Danimarca volle conoscere Rodolfo e tutti noi, vecchi amici, a godere con lui.
Rodolfo! Il simpaticissimo compagno di allegrie nell’appartamento bolognese di via Mazzini che nei primi anni Sessanta ci accolse mentre stavamo dando la scalata per raggiungere la laurea. Da via Mazzini al trono di Danimarca. Come Amleto.
Apprendiamo della disfatta azzurra da un custode del Palazzo, ma nemmeno il tracollo della banda dei pedatori riesce a scalfire quel clima fantastico che Rodolfo aveva tessuto proprio come uno di quei grandi arazzi che sono in mostra proprio a Mantova. E per farci da guida Rodolfo ha utilizzato il romanzo di Gabriele D’Annunzio che nel 1907 aveva fatto visita al palazzo ducale, del quale fornisce una straordinaria guida in “Forse che sì, forse che no”, un romanzo (l’ultimo di Gabriele) che pubblicò nel 1910, giusto cent’anni fa. “Forse che sì, forse che no”, essere o non essere, dilemma, Amleto, Danimarca, la regina e Cristiano… il cerchio si chiude.
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E fuori il Mincio, calmo e placido (però non passava nessuno perché quasi tutti erano in casa a vedere la partita), e la bella Mantova che da lontano emerge dall’orizzonte come una cartolina… Mantova, Mantegna… il ricordo mi porta una gita lontana, di cinquant’anni fa, il mio liceo aveva organizzata una gita proprio a Mantova e di questa gita serbo ora il vago ricordo della visita a Palazzo Te poi a un certo punto uno di noi che era riuscito a sfuggire alla vigilanza degli accompagnatori ci portò la notizia che nello stadio (lo stadio di Mantova è a due passi da Palazzo Te) si stava allenando Sormani e allora alcuni arditi, fra i quali chi sta scrivendo queste note, si precipitarono subito allo stadio per non perdere lo spettacolo.
Ricordo che Sormani indossava una maglia verde. Ho anche una foto ricordo di quella gita che mi ritrae insieme ad alcuni compagni di scuola fra i quali Franco Vitali, che per molti anni avrebbe difeso la porta della squadra della mia città (Ravenna) e Roberto Cimatti, detto “Schiaffino”, che poi andò a finire niente meno che alla Juventus. Il primo anno di università lui era a Torino e io a Bologna e ricordo che mi scriveva dalla capitale sabauda dicendo che si allenava al pomeriggio con Sivori e Nicolè. Bene, tutto questo non c’entra niente con la disfatta azzurra però ho voluto abbandonare la navicella del mio ingegno sul mare dei ricordi stimolato da questa fantastica giornata mantovana.
Ma torniamo all’Italia. La banda dei tatuati ha fatto ritorno a casa con la coda fra le gambe. È crollata la filosofia del gruppo sulla quale Lippi aveva tentato di riconquistare l’alloro mondiale. Ma i sogni, a volte, fanno smarrire la realtà. D’accordo, Shakespeare diceva che noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni (la Tempesta) ma diceva anche che la nostra vita è circondata dal sonno e la disfatta azzurra ha dimostrato che qualcuno evidentemente dormiva senza sapere che il sonno della ragione ha sempre generato mostri. In questo caso ha creato mostriciattoli azzurri.
E le conseguenze sono catastrofiche. Il “pallone” unisce, questo lo sappiamo, e i nostri eroi in mutandine avevano fatto sapere “urbi et orbi” che avrebbero devoluto parte dei loro premi per la partecipazione ai mondiali a favore della fondazione per le celebrazioni dell’unità nazionale del prossimo anno che, come è noto, naviga in cattive acque perché di soldi ce ne sono pochi. Dalla Nazionale azzurra, invece, è arrivato questo messaggio. C’è veramente da commuoversi fino alle lacrime al pensiero che gente che ha i soldi che gli escono da tutti i pori abbia pensato di devolvere una parte (e sottolineo “una parte”) dei loro premi alla causa dell’unità nazionale. Poi magari qualcuno si sarà chiesto ma perché all’unità nazionale dobbiamo pensare noi e altri avranno ribattuto però lo abbiamo dichiarato ai quattro venti e non possiamo mica tornare indietro e così tutti d’accordo hanno deciso di uscire dal mondiale per evitare di scucir quattrini. Potrebbe essere una giustificazione di questa Waterloo calcistica. O forse no. L’esperienza del Sudafrica passerà sicuramente alla storia (calcistica, si capisce, ma pur sempre storia). E qualcuno avrà pensato di immortalarla con un bel tatuaggio.
Povera Italia.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).