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di memoria, cultura e molto altro...      Ravenna, 31 Ottobre 2011



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Franco Gàbici è Premio Guidarello di Giornalismo.

La Superbomba
di Krusciov


  È la fine di ottobre di cinquant’anni fa. Per tutta l’estate avevamo ascoltato Legata a un granello di sabbia e il suo motivo lo avevamo ancora dentro alle orecchie insieme al dolce sciabordio del mare ed eravamo tutti allegri, oh sì se lo eravamo, dopo quella estate felice e spensierata, ma ecco che su questo periodo serenissimo della nostra vita si affaccia un pericoloso nuvolone. Lo ricordo benissimo. Avevo acquistato all’edicola il Corriere della Sera e lo avevo ficcato fra i libri di matematica e di filosofia perché qualche volta mi andava di dare una sbirciatina al giornale durante le ore di lezione, sì, lo so benissimo che non era quello un comportamento da studente modello, ma il mondo era tutto preoccupato, e lo ero anch’io se proprio lo volete sapere, perché se anziché acquistare la Gazzetta dello Sport mi ero orientato sul Corriere una ragione c’era e anche grave ed era questa: il signor Krusciov aveva fatto scoppiare la bomba più potente mai costruita dall’uomo. Si trattava di una superbomba all’idrogeno che lui sventolò davanti al naso di tutti i governanti per dire che la Russia possedeva una tecnologia da brivido e se qualche anno prima aveva stupito il mondo intero con il primo satellite artificiale (Spuntnik 1), con la cagnetta Laika e tutto il resto, adesso era ritornata sulla terra per mostrare questo capolavoro di bomba.
Si trattò, in fondo, di una bella smargiassata perché quel gingillo non aveva le caratteristiche adatte per essere sfruttato militarmente. La bomba, infatti, un cilindro di 8 metri e del diametro di 2 metri, pesava 27 tonnellate e all’epoca non esisteva nessun aereo in grado di portare in quota un affare del genere in tempi rapidi. Portare in quota lentamente la bomba, invero, avrebbe consentito al nemico di localizzare il velivolo molto prima che questi si fosse portato sull’obiettivo. Dunque era praticamente inservibile. Però faceva sicuramente un bell’effetto.
La bomba si chiamava “Big Ivan” ma il mondo la battezzò subito “Bomba Zar-Fine del mondo”, un nome che era tutto un programma. “Big Ivan”, però, non era la bomba originale perché la sua potenza era “solamente” di una cinquantina di Megaton (un Megaton sviluppa un’energia equivalente all’esplosione di un milione di tonnellate di tritolo) mentre Krusciov, quando aveva fatto venire la tremarella al mondo, aveva annunciato l’esplosione di una bomba di 100 Megaton.
Krusciov, insomma, bontà sua, aveva fatto lo sconto sui Megaton. La bomba, al confronto della quale le atomiche sganciate sul Giappone erano dei giocattoli, dopo essere stata portata a una quota di poco più di 10 mila metri fu fatta scendere lentamente con un enorme paracadute per dar tempo all’aereo che la trasportava, un Tupolev 95, di allontanarsi in tempo dal punto dell’esplosione. L’aereo era stata adattato per fare entrare la bomba ed era stato ricoperto da uno strato di vernice antitermica per evitare che il calore sviluppato dall’esplosione arrostisse la carlinga e magari anche il pilota che stava dentro. Pilota che divenne subito eroe nazionale perché nell’impresa avrebbe potuto lasciarci la pelle.
L’esplosione avvenne alle 11.32 (ora di Mosca), a 4 mila metri di quota, sull’isola di Novaja Zemlja presso il Circolo Polare Artico. Il lampo, nonostante la giornata fosse nuvolosa, fu visto a mille chilometri di distanza e il caratteristico fungo raggiunse una altezza di una sessantina di chilometri. L’onda d’urto fece per ben tre volte il giro della Terra e a causa dell’esplosione si registrò in tutto l’emisfero nord un black-out delle comunicazioni radio di quasi un’ora. In un raggio di 50 Km le case di legno furono completamente distrutte e a distanze maggiori, fino a 900 Km, gli edifici in muratura ebbero i tetti e le imposte danneggiati.
I giornali spararono ovviamente la notizia in prima pagina ed ecco perché quel giorno, era il 30 ottobre 1961, prima di andare a scuola, passai all’edicola per acquistare il Corriere della Sera. Se la memoria non mi inganna mi sembra di ricordare che il titolo fosse addirittura a caratteri rossi, però non ne sono sicuro. Ricordo però che il titolo recitava così: “E’ scoppiata!”.
Va anche detto che, a causa di certe modifiche, “Big Ivan” fu tutto sommato una bomba “pulitissima” perché solamente il 3% dell’energia fu prodotto dalla “fissione”, mentre la bomba da 100 Megaton avrebbe aumentato notevolmente il “fall out”.
Va infine ricordato che a capo del progetto che portò alla costruzione della superbomba era il fisico Andrej Dmitrievič Sakharov che a un certo punto palesò non poche perplessità perché riteneva che la bomba fosse troppo rischiosa. Altri, addirittura, pensavano che non sarebbe nemmeno esplosa. Nessuno, dunque, era sicuro circa l’esito dell’esperimento, ma tutti furono concordi che un suo successo avrebbe aperto la possibilità di creare un dispositivo dal potere praticamente illimitato. Sta di fatto che Sakharov, dopo il test della terribile bomba, ebbe qualche rimorso di coscienza e si fece paladino di una campagna contro le armi nucleari. Poi si battè per la difesa dei diritti dell’uomo fino ad essere insignito del Premio Nobel per la pace nel 1975. Per lui, ormai, il fungo della superbomba era già un lontano ricordo.
La superbomba, dunque, scoppiò il 30 ottobre del 1961, anno in cui oltre a festeggiare il centenario dell’Unità Nazionale si ricordava pure il centenario della nascita di Ettore Schmitz, al secolo Italo Svevo. Ora voi direte cosa c’entra Italo Svevo con l’Unità nazionale e con la superbomba. Beh, con l’unità nazionale non c’entra proprio niente, ma con la superbomba, almeno secondo me, sì. E se non ci credete, andatevi a leggere il finale della Coscienza di Zeno e ditemi se non sembra la descrizione degli effetti di quella superbomba che Krusciov avrebbe fatta esplodere molti anni dopo. Anche gli scrittori, a volte, sono profeti.

Franco Gàbici

Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.




 

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Una Canzone al Giorno  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).



 


Franco Gabici

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