Mi capita per caso fra le mani un libretto di Orio Vergani anzi no, dico una bugia, il libretto non me lo ritrovo per caso, ma per un motivo ben preciso perché, attirato dal titolo che suona “Settimana di Dublino”. Avevo pensato di regalarlo a mio figlio Stefano che da un anno vive proprio a Dublino dove, se proprio volete saperlo, fa l’astronomo (l’altro figlio Paolo fa invece il fisico in Italia).
Dopo avere ordinato il libro a scatola chiusa rimango molto sorpreso perché vengo a sapere che Dublino non è affatto la capitale dell’Irlanda ma è il nome del cavallo di Antonio Coaro, di professione brumista, un termine un po’ fuori moda per indicare il fiaccheraio (ma anche questo termine non è che sia molto moderno), insomma era il proprietario di una carrozza con la quale Orio Vergani decide, all’inizio della meccanizzazione del secolo, di compiere un viaggio da Milano fino a Venezia fra il 13 e il 20 settembre del 1935.
Il libretto è un tascabile di poche pagine e siccome io la penso come Democrito (niente avviene per caso, ma tutto avviene per una ragione) mi son messo a leggerlo incuriosito anche dal fatto che la prefazione scritta dallo stesso Vergani reca la data della Domenica delle Palme del 1958 che a conti fatti sta a significare proprio cinquant’anni fa.
È chiaro che a nessuno sarà mai venuto in mente di celebrare il cinquantenario della “Settimana di Dublino” ma ciò non significa che la cosa non si possa fare e in effetti me ne sto qui a compicciare una delle mie “Bollicine” per segnalare questo libretto che è davvero carino e che fu pubblicato nel 2001 dall’editore Archinto.
Leggendo queste pagine ci accorgiamo che siamo ammalati di velocità e che corriamo e corriamo senza guardare o meglio guardiamo ma non vediamo perché tutto scappa via come in un film mentre se tu vai a piedi o ti fai trasportare da un cavallo la prospettiva cambia e ti accorgi di vedere cose che la velocità non ti consente di vedere, ti accorgi ad esempio che “i pioppi vengono avanti lentissimi” (pag. 31) e tu puoi goderti il paesaggio. Ti accorgi anche che “la strada non ha un volto per chi come per tutto il resto dell’umanità la percorre a cinquanta, a sessanta, a cento all’ora.
Ma, vista così, da questa specie di divano ambulante, a nove, a dieci chilometri all’ora non è giunto ancora il momento di sferzare Dublino, del tutto nuovo a questo genere di prove, - ne ha ancora uno, ed ha ancora una vita sua, ad onta che l’asfalto vi abbia steso una maschera uguale, e che, a distanze regolari, i paracarri bianchi e neri e le colonne distributrici della benzina la accompagnino con inesauribile monotonia” (pp. 39-40).
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoConversazione su “Una Canzone al Giorno” per riascoltare la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
Ti accorgi che “la strada non è fatta più per chi va a piedi” (pag. 43) e che “Dublino ha un passo fiabesco, e sembra arrivi diritto dai racconti di Andersen” (pag. 43), ma la cosa che mi ha lasciato secco è stata questa affermazione: “Il segreto per vedere il mondo non è né andar piano né andar presto. È esser nessuno. Lo sapeva anche Ulisse, primo grande viaggiatore del mondo, quando disse a Polifemo: Mi chiamo Nessuno” (pag. 93). Vergani, infatti, si lamenta della popolarità sempre crescente del cavallo Dublino e più gente si ferma a vederlo “tanto meno cose io vedo dei luoghi che percorro, tanto più il viaggio diventa un viaggio nella mia solitudine” (pag. 93).
Il cavallo Dublino ha evocato un passato lontano, quando ancora per le strade risuonavano gli zoccoli dei cavalli, ultima eco di una civiltà contadina che stava per cedere il passo alla civiltà (o inciviltà) delle macchine e qui mi sovvengono le riflessioni di Leo Longanesi quando dice che “nella nostra società, l’automobile non ha preso il posto della carrozza o del treno; non è un semplice, nuovo mezzo di locomozione: è un simbolo. E come ogni grande simbolo ha i suoi nemici e i suoi eroi. Il nemico si chiama ‘pedone’: esso muore schiacciato lungo la strada e resta ignoto; pè carne da ruote, come il fantaccino è carne da cannone. Il suo cadavere è affidato alla polizza di assicurazione.
L’’eroe’ muore al volante, come un cavaliere in sella: egli è il signore, il crociato del nuovo medioevo meccanico, orgoglioso del suo ordine. E le sue gesta sono cantate dai cronisti…”.
Mi è venuto in mente anche il racconto di Giovannino Guareschi del cavallo chiamato Bianco, “una bella bestia che pareva venuta giù da un monumento”, che corre disperato la sua ultima corsa rincorrendo una immaginaria vaporiera che per così dire lo aveva diseredato. Il “Bianco” mi ricorda tanto l’”asin bigio” del carducciano “Davanti a San Guido” che se ne sta tranquillo a brucare il suo cavolo turchino mentre “ansimando fuggia la vaporiera”.
Ecco, noi dovremmo tutti trasformarci in asini per poter restare indifferenti di fronte all’ansimare del progresso che ci sta divorando. Chi va in auto, scrive ancora Longanesi, “ha una concezione nuova della vita, della civiltà, del progresso: ubbidisce alle idee della sua macchina, cioè alla tecnica che ha prodotto quella macchina, figlia di altre macchine”. Corriamo come forsennati “per la conquista di un progresso che invecchia nell’attimo in cui lo si raggiunge”. Su, allora, trasformiamoci tutti quanti in “asini bigi” e solo grazie a questa metamorfosi potremo capire e apprezzare le pagine di Orio Vergani, che così conclude la sua presentazione:
“Queste paginette non hanno altro valore se non per il profumo di pace ch’esse portano con sé”.
Una pace che non ha sicuramente il nuovo borghese che sull’autostrada “finalmente muore, con l’occhio ebete volto al contachilometri che segna zero”.
Con Dublino, invece, era tutt’un’altra cosa.
Così parlò Vergani. E vi pare poco?
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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