Il 5 ottobre del 1962, e dunque cinquant’anni fa, usciva il primo “45” dei Beatles e la notizia sta rimbalzando su tutti i mass media come se si trattasse di un evento epocale e magari lo sarà anche ma, mi dispiace tanto per loro, io continuo a tifare per i Platters, il mitico quintetto che nel 1955 lanciò “Only you” unitamente a un nuovo modo di cantare e di concepire la musica. Con “Only you” entrava nei pentagrammi musicali il “tezinato” e tutta la musica moderna cambiò il suo look.
A me i Beatles non sono mai piaciuti e più che un fenomeno musicale li ho considerati un fenomeno di costume. Riconosco però in loro una buona capacità musicale e certe loro composizioni (“Yesterday” in primis) sono entrate di diritto nella storia della musica. Però, però… io continuo a tifare Platters e sono convinto che sul piano vocale fra i Platters e i Beatles ci corre una bella differenza. Nessuno riuscirà mai a toccare le vette del tenore Tony Williams (andate a riascoltare “My prayer” popi mi saprete dire…) o gli abissi del “basso” Herbert Reed (vedasi “Sixteen tons” che sembra raggiungere in profondità la fossa delle Filippine). E poi, ragazzi, dovete pensare che tutta la fortuna dei Platters era basata solamente sulle loro straordinarie doti vocali. Si facevano accompagnare da un pianoforte, da un basso, da una chitarra, da un sax e da una batteria e nelle sale di incisione di allora non c’erano sicuramente gli effetti speciali e tutte le diavolerie della moderna tecnologia. Questi erano i Platters e mi spiace che pochissimi dedichino a loro spazio, tutti presi dalla Beatles-mania.
In occasione dei cinquant’anni di “Only you” ho scritto un eBook per il nostro editore Luciano Simonelli (“Buon compleanno Only you”) e scrissi anche un articolo per la terza pagina del Resto del Carlino e i miei figli, che all’epoca studiavano all’Università di Bologna, mi dissero che nella città delle “due torri” c’era un ritrovo che si chiamava proprio “Only you” e che al suo interno, attaccato a una parete, avevano appeso il mio articolo a miracol mostrare.
Cari e vecchi Platters!
Fred Buscagliene li immortalò in una sua canzone: “Si sono rotti i Platters/e ora che si fa/la vita senza i Platters/che mai diventerà”. L’autore del disastro è definito “disgraziato” e il Fred minaccia che “chi mi ha rotto i Platters/me la pagherà”.
I Platters, infatti, a differenza dei Beatles, si potevano “rompere”. I primi loro dischi, infatti, giravano a 78 giri, dischi fragilissimi, mentre nel 1962 già avevano invaso il mercato i “45” in vinile che potevano cadere senza che succedesse nulla. E tutto questo riporta a un’epoca spaventosamente distante e colloca i Platters nel periodo ante boom. Li ascoltavamo nei juke box o sui giradischi e non sapevamo cosa fosse la stereofonia. Un suono pulito, genuino e senza effetti. Di effetto bastava solamente la loro voce, inimitabile e irraggiungibile.
Mi rendo conto che, magari, sto esagerando, ma credo di avere il diritto di pensarla come mi pare e non credo di essere passibile di denuncia se continuo a proclamare la mia fede nei confronti dei Platters. E poi ognuno è figlio del suo tempo e certi ricordi sono legati soprattutto all’epoca degli anni verdi, degli anni del liceo e i miei anni liceali sono stati scanditi musicalmente dalla musica dei Platters. Ecco perché quando mi ritrovo ad ascoltare “The great pretender” o “Smoke gets in your eyes” avverto dentro un fantastico brivido blu che mi scaraventa lontano sulla spiaggia del tempo a raccogliere tenere conchiglie di ricordi.
Ascolto “Only you” e mi vengono alla mente il primo sapore delle sigarette e l’ebbrezza dei primi balli nei festini del sabato pomeriggio a casa degli amici e sotto lo sguardo vigile delle madri. Ascolto i Platters e il pensiero corre ai tempi della scuola, al timore delle interrogazioni, alla preoccupazione per i compiti in classe, ma anche al meraviglioso tempo della vacanza quando, con in tasca la sospirata promozione, ti si spalancavano davanti quattro lunghi mesi da trascorrere lontano dai libri. E i Platters cantavano e scandivano il nostro tempo, meraviglioso e irripetibile.
Ecco perché tifo e tiferò sempre Platters. E sono sicuro che anche voi, amanti dei Beatles, se aveste avuto quindici anni negli anni Cinquanta, la pensereste come me. Non me ne vogliate, dunque, e… amici come prima.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).