Nello stesso anno in cui si è ricordato il quarantennale dell’impresa dell’”Apollo 11” (la conquista umana della Luna) cade un altro importante anniversario. Nell’ottobre del 1959, e dunque cinquant’anni fa, la sonda sovietica “Lunik 3” andava a ficcare il naso dietro la Luna per scattare alcune foto della sua faccia nascosta. La Luna, come è noto, volge a noi sempre la stessa faccia, ma non è detto che noi osserviamo solamente il 50% della superficie. Ci sono certi fenomeni, le librazioni, che causano particolari ondeggiamenti per cui, a conti fatti, noi riusciamo a vedere qualche cosina in più, diciamo il 59%. Sta di fatto, però, che restava sempre un 41% da scoprire.
Gli astronomi erano del parere che l’altra faccia della Luna non dovesse essere molto diversa da quella che noi osserviamo tutte le notti e invece la sonda sovietica dimostrò che l’altra faccia della Luna era molto diversa, con pochissimi mari e moltissimi crateri.
Dopo “Lunik 3”, i primi uomini a osservare l’altra faccia della luna furono gli astronauti della missione “Apollo 8” (William Anders, Frank Borman e James Lovell) e uno di questi, Anders, disse che quella zona della Luna si presentava “come se fosse un mucchio di sabbia in cui i miei figli hanno giocato per qualche tempo”.
Quella missione, che risale alla fine del 1968, passò alla storia dell’astronautica perché per ben dieci volte la navicella passò dietro alla Luna e durante ogni passaggio (della durata di 30 minuti) restò completamente isolata perché la Luna faceva da schermo e rendeva impossibile qualsiasi collegamento. In quell’occasione gli astronauti lessero in diretta il racconto della creazione tratto dalla Bibbia.
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Ma visto che stiamo parlando dell’altra faccia della Luna volevo ricordare un altro importante anniversario, praticamente dimenticato. Proprio cento anni fa, infatti, nel 1909, veniva pubblicato il volumetto di Pascoli “Nuovi poemetti” e se andate a scorrere l’indice troverete “Gli emigranti della luna”, un poemetto che ogni astronomo e astrofilo dovrebbe conoscere.
Pascoli immagina che un gruppo di contadini russi, probabilmente affascinati dalla lettura delle opere di Camille Flammarion, decidono di andare sulla Luna nella speranza di trovare un mondo migliore. Non è la prima volta che i poeti e scrittori se ne andavano sulla Luna. Da Luciano in poi ce n’è tanti da riempire una sporta, ma questa storiella di Pascoli è di grande interesse perché il poeta fa toccare con mano al lettore la realtà della Luna, descrivendola in tutti i suoi particolari toponomastici.
Volete qualche esempio?
Eccolo:
C’è il Mare di Serenità. C’è il Mare
di Nubi. Anche, di Pioggie e di Tempeste.
Un altro Mare senza l’acque amare.
C’è la Palude delle Nebbie meste.
C’è anche un Seno, a goccia a goccia pieno
di guazza dalla grande alba celeste.
E c’è il Lago dei Sogni. Anche c’è il Seno
delle Iridi: tanti alti archi di porte
nel cielo: un infinito arcobaleno.
Vicino ai Sogni, il Lago della Morte".
Pascoli ricorda anche che la Luna volge sempre alla Terra la stessa faccia:
Io l’ho veduta. Corre sempre, vola,
passa. Ma mentre va, che non mai posa,
a noi non volge che una parte sola.
Vediamo, noi, nel cielo azzurro o rosa,
sempre quelle montagne, sempre quelle
paludi. Sempre…
E a un certo punto si chiede:
Ma di là? Che cosa
è mai di là, verso le grandi stelle?
Pascoli, dunque, cinquant’anni prima dell’impresa di “Lunik 3”, immagina una spedizione che va alla ricerca del volto nascosto della Luna. Ma c’è un particolare nella storia pascoliana che fa pensare. Mentre, infatti, tutti si muovono per andare ad esplorare la Luna, un vecchio rinuncia all’impresa. Lui rimane nell’emisfero conosciuto perché da lassù può continuare a vedere la “sua Terra”. Con questo gesto il vecchio sceglie di schierarsi dalla parte del mistero che, come disse Albert Einstein, rimane sempre la cosa più bella che possiamo sperimentare.
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).