Può succedere che in un pomeriggio d’agosto uno si ritagli uno spazio all’interno della propria vacanza per compiere un pellegrinaggio in certi luoghi della memoria.
Il passato è terra straniera, lo diceva Joseph Losey in apertura del suo film “Messaggero d’amore”, e credo sia davvero così.
Il passato è bene che resti al posto suo, ben nascosto nelle oscure pieghe del gran mantello del tempo e chi ha intenzione di andarlo a riscoprire deve mettere in conto pruriginose sensazioni.
Sì, perché i luoghi sono sempre gli stessi, ma sono cambiati il contorno, la prospettiva, massì diciamo pure anche la Weltanschauung. E allora il passato diventa per davvero una terra straniera, un abito che tenti di indossare ma poi ti accorgi che tu sei andato fuori taglia.
Ed eccomi a Roma, all’imbocco di una strada della grande periferia, una strada in salita che si perde oltre l’orizzonte in una ampia curva. La strada si chiama “via Proba Petronia”, una di quelle onomasticherie che puoi incontrare solamente a Roma.
Io la ricordavo in bianco e nero, proprio come i fotogrammi del film e il film non è un film qualsiasi, ma uno dei film più straordinari della storia del nostro cinema. Signori, stiamo parlando del “Sorpasso” di Dino Risi, targato 1962, un anno che ci porta di peso dentro all’omphalos del boom (per chi non ha dimestichezza col greco omphalos significa “ombelico”.
Lo cita James Joyce all’inizio del suo “Ulysses” quando, rifacendosi all’oracolo di Apollo, ricorda la Torre Martello come ombelico del mondo mentre Carlo Emilio Gadda cita l’ombelico in un contesto decisamente più prosaico e precisamente là dove se la prende coi padroni che lasciano abbaiare senza sosta i loro cani e allora il grande lombardo scrive che ai cani latranti si dovrebbe versare dentro alle orecchie del burro fuso mentre la stesso magma dovrebbe essere versato nell’”umbilico” dei padroni!).
Perché non capite “Una Canzone al Giorno”?
Mi ha fatto una certa impressione ritrovarmi in quel luogo e mi sono pure abbeverato a una fontanella di ghisa che probabilmente è stata ricostruita sulle rovine di quella fontanella rudimentale alla quale si abbevera Gassman all’inizio del film. Le palazzine, come ricorda Doriana Goracci in un suo elzeviro, sono rimaste praticamente le stesse (forse qualcuno ha aggiunto alle facciate i balconcini) e in quel caldo pomeriggio d’agosto sembrava quasi che il tempo si fosse fermato ma a riportarmi alla realtà hanno contribuito certi scarabocchi sui muri ad opera delle mani monelle dei soliti idioti.
A fianco della via Proba Petronia si spalanca un parco, un’oasi che ti accoglie con un gran sbadiglio di verde e di azzurro. Quello spazio è rimasto tale e nessuna ruspa lo ha ancora mandato all’aria. E in quello spazio la memoria si è divertita a scorrazzare randagia come un puledro.
Quarantasei anni fa su quella strada sostava Vittorio Gassman con la sua Aurelia sport B24 supercompressa (targata Roma 329446, ricordate? Pensate, c’è anche un racconto intitolato “Roma 329446”), un’auto mitica che finì anche nel garage di Peppino di Capri, a quei tempi all’apice del successo e protagonista della colonna sonora del film con ben tre brani, il madison “Don’t play that song”, il lento “Per un attimo” (firmato dalla coppia Naddeo e Lepore, gli stessi autori che poco dopo avrebbero scritto “Roberta”) e “Saint Tropez Twist” che accompagna la partita di ping pong fra Bruno e “Bibì”, vinta sul filo di lana da Bruno, complice quella schiacciata malandrina che fa planare beffardamente la pallina sul campo dell’avversario.
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Bruno ottiene così le sue cinquantamila lire (tanta era la posta in palio) con le quale salda i debiti contratti con il timidissimo Roberto e poi via di corsa fino all’ultimo sorpasso, in quella maledetta curva in località Calafuria, con la mitica Aurelia che esce di strada e va a terminare la sua corsa fra i massi in riva al mare insieme a Roberto.
Bruno invece se la cava. È l’ultima beffa.
Dino Risi con questo film si trasforma in Cassandra. La favola del boom appena iniziata sta già per concludersi.
“La festa appena cominciata è già finita…” avrebbe cantato Sergio Endrigo pochi anni dopo. E finiva anche l’epoca del “Sorpasso”, quel film che andai a vedere la prima volta con Roberto C., mio ex compagno di scuola.
Avevamo alle spalle la maturità liceale (scientifica) del 1962 e quel mattino grigio di gennaio ci trovammo ancora una volta insieme in un grande stanzone spoglio per la visita di leva. Ci sembrava di rivivere le sequenze iniziali della “Grande guerra” di Monicelli e aspettavamo da un momento all’altro il vocione di Sordi che ammoniva “Sssss… boooni…”. Avevamo in tasca le allegrie dei vent’anni e nelle scarpe la voglia di camminare nel futuro.
Roberto C. si sarebbe iscritto all’Università di Torino perché proprio quell’anno la grande Juventus lo aveva acquistato, io invece sarei andato a Bologna per iscrivermi a fisica, ma per il pomeriggio ci demmo appuntamento davanti alla “Sala Ravenna” per vedere questo film che, a detta di molti, era proprio divertente. Infatti ci divertimmo molto e poi, dai, quelle canzoni inserite nel film erano davvero una bomba.
“Pinne fucile e occhiali” e “Guarda come dondolo” cantate da Edoardo Vianello ci avevano accompagnato per tutto il periodo dello studio “matto e disperato” della maturità, ma ora le riascoltavamo in un contesto tutto diverso, da persone finalmente libere.
All’uscita del cinema ci accolse la carità della sera. Mi raccomando, dissi a Roberto C., non dimenticarti di mandarmi una foto della Juve con gli autografi. Soprattutto quello di Sivori. E Roberto C. fu di parola.
Tutto questo accadeva nel gennaio del 1963. Avevamo appena visto “Il Sorpasso”, ma forse nessuno dei due ebbe la sensazione che quella “Aurelia B24” aveva chiuso davvero un’epoca. Alzammo il bavero del cappotto perché faceva freddo. Poi ognuno sarebbe andato per la sua strada con la testa ingombra di sogni.
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(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).
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