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Ravenna, 5 marzo 2006


  Ma perché deve continuare
  lo squallore del Festival di Sanremo?

   Erano più di vent’anni che non guardavo Sanremo, il festival della canzone intendo dire, ed è stata una esperienza sconvolgente che mi ha fatto capire ancora una volta, caso mai ce ne fosse stato bisogno, di quale pasta cerebrale siano costrutti gli italiani. Chiacchiere, chiacchiere e ancora chiacchiere… grandi effetti, insulsaggini e un mare di pubblicità… una volta al festival si cantava e basta, oggi invece, secondo un antico e collaudatissimo slogan di mamma tivù, si fa di tutto e di più. Però lo si fa nel peggiore dei modi. Questo bisogna dirlo. Dal momento che fra le vallette c’è la moglie di Totti, non poteva di certo mancare il giocatore, seduto in prima fila con la sua brava stampella. Le telecamere hanno perfino indugiato sulla sua caviglia ingessata. Panariello lo ha pure intervistato e gli ha chiesto notizie sul futuro del figlio neonato, e il Totti ha risposto che suo figlio farà nella vita ciò che gli parrà giusto fare e che lui, da bravo padre, si limiterà ad insegnargli l’educazione. Si spera che al Totti junior, quando avrà raggiunto l’età del capire, non gli capiti di vedere i fotogrammi che mostrano il padre suo in versione “lama”. Se non lo sapete, i lama sono animali famosi perché sputano. Ma sono animali, mica calciatori. Insomma, questo festival è proprio una pena. Una faccenda strascicata che si dipana lenta e lo spettatore ha davvero la sensazione di tirare per la coda un pachiderma. E pensare che una trasmissione di questa fatta occupa una rete televisiva per una settimana intera.
   Penso con amarezza agli euro versati recentemente per il canone. Ma quello che non si riesce a capire è questa ostinazione a voler tenere in piedi a tutti i costi una manifestazione che da tempo ha perso per strada il suo senso. Bisognerebbe avere il coraggio di farla finita e di chiudere il libro e pensare ad altro. Ma evidentemente mancano idee e così il Festival continuerà a proporre il suo messaggio (ma quale?) per chissà mai quanti altri anni. E pensare che ho sentito dire che è stato istituito un pool di ben nove persone per organizzare le serate e forse è meglio non pensare ai loro consensi sennò verrebbe proprio voglia di prendere il televisore e gettarlo fuori dalla finestra.
   La storia della nostra televisione è costellata di trasmissioni che hanno fatto epoca ma che prima o poi hanno dovuto chiudere i battenti. Ricordate Lascia o raddoppia? Pareva che non dovesse finire mai e invece a un bel momento, dopo 191 puntate, Mike Bongiorno salutò tutti e pensò ad altro. Ci fu, se ricordate, un revival di una ventina di puntate in occasione dei venticinque anni della trasmissione, ma il pubblico capì che c’è un tempo per ogni cosa e che non aveva senso riproporre una trasmissione al di fuori del suo contesto naturale. Solamente per questo Festival della canzone ci si ostina a credere che debba essere la trasmissione clou dell’anno e dal momento che per il peggio sembra non esistere un limite si tiene occupato il primo canale per una settimana intera e ciò per la maggiore elevazione culturale del popolo italiano che, commosso, ringrazia di queste attenzioni nei suoi confronti.
   Ma io, se proprio lo volete sapere, per disintossicarmi dal virus sanremese, mi sono consolato leggendo (anzi rileggendo) “Il lavoro culturale” di Luciano Bianciardi che una piccola casa editrice ha avuto la bella e coraggiosa idea di rilanciare in un corposissimo volume che raccoglie l’opera omnia dello scrittore e dal momento che ci sta stampigliato sopra “volume primo” c’è da attendersi una seconda puntata. L’opera omnia è stata chiamata l’Antimeridiano e in effetti il volume ha la possanza di un Meridiano (intendo parlare della collana di Mondadori), ma Bianciardi era contro tutti e dunque anche la sua opera deve essere considerata un Antimeridiano. Andate a leggervi “Il lavoro culturale”, si legge tranquillamente nello spazio di una sera e vi assicuro che è una esperienza sicuramente più divertente del Festival.
   Eppure le serate sanremesi continueranno ad imperversare. Ma lo sanno i dirigenti della nostra Rai che fanno pur sempre parte della storia le grandi estinzioni? Non ha loro insegnato nulla l’estinzione dei dinosauri? E se è vero che il mondo è andato avanti anche senza i dinosauri, sarà anche vero che la nostra televisione potrà andare avanti senza lo squallidino spettacolo del Festival dove, a quanto pare, si parla molto e si canta poco. E dopo una settimana è già pronta una nuova trasmissione dal titolo “Sanremo contro Sanremo”. Allegria!

Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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