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Firenze, 4 Novembre 2014

Fra PDC e PDR
Io sto col
PDRiformatore

  È poco ma sicuro che non vorrei essere nei panni di Renzi in questo momento: pover’uomo, le due cariche che ha lo tirano una da una parte ed una dall’altra; infatti come leader del PD dovrebbe cercare di tenere unito un partito con robusti sintomi di scissione mentre come capo del governo dovrebbe cercare, al di sopra dell’appartenenza poitica, di fare quanto necessario per cercare di risollevare il paese dalla profonda crisi in cui di dibatte. E le due cose, come tutti hanno ampio modo di constatare, sembrano essere antitetiche. Infatti il bene dell’Italia, a mio modo di vedere, si può fare solamente portando a termine al più presto il dibattito politico ed attivando immediatamente tutte le riforme concordate; ma sono proprio queste riforme la causa dei ‘mal di pancia’ del PD che ha una componente forte ma minoritaria, che chiamerei PDC dove la C può stare sia per ‘conservatore’ che, a piacere, per ‘comunista’, ed una componente in questo momento maggioritaria che potremmo chiamare PDR dove la R sta per ‘riformatore’.
Ora il PDC, nella pia illusione di poter ritornare a costituire la maggioranza del PD, avvalendosi anche del supporto di alcune sigle sindacali sulle quali tornerò più avanti, farà di tutto per ostacolare i piani innovativi del governo ottenendo purtroppo solamente di frenarne l’efficienza e ritardando (volontariamente o involontariamente?) la ripresa del paese. E quello che mi piace poco è che tutti sostengano che si tratti solamente di vivace dibattito interno ma che l’unità del partito non sia assolutamente in discussione; sì, ma intanto alcuni senatori non hanno rispettato la disciplina di partito ed hanno votato contro una delle proposte del governo.
Quello però che temo soprattutto è la possibilità che Renzi, da buon democristiano, cerchi di mediare fra le due opposte esigenze edulcorando e svuotando le riforme fino a renderle ‘digeribili’ alla sua opposizione interna: si tratterebbe di un orribile ritorno ai fasti della prima repubblica. Ripeto, non vorrei essere nei panni di Renzi ma, se quanto scrivo potesse avere qualche probabilità di giungere a lui, oserei suggerirgli di prendere una posizione ben definita: o per l’Italia o per il partito. Da quello che dice sembra sia orientato verso l’Italia, ma non vorrei che fossero solo parole. Comunque il rischio grosso di tale scelta, se portata avanti con coraggio, è quello della caduta del governo, affondato sia dall’impossibilità di ridurre la spesa pubblica a causa dei ‘malumori’ della miriade di personaggi inutili ma ben protetti e nascosti nella pubblica amministrazione, negli enti inutili ma apparentemente impossibili da eliminare e dovunque gli intrallazzi politici abbiano potuto ‘sistemare’ vecchie glorie, parenti, amici eccetera.
Relativamente spesso vengono alla luce e sono ben reclamizzati i successi di Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia nei confronti della criminalità organizzata e vengono sbandierati i recuperi di capitali legati a tali successi. Possibile che nessuno (nemmeno la Corte dei Conti?) riesca a scovare almeno buona parte dei mangia pane a ufo di cui sopra? Ci sarebbe da ricavarne molti più soldi di quelli delle operazioni anti mafie. Evidentemente c’è una impenetrabile cortina di omertà degna delle più potenti cosche malavitose; solo che stavolta non è in gioco qualche carico di eroina o il controllo della prostituzione ma il destino del paese.
E c’è da mettere in conto anche il comportamento, per me scriteriato, di alcune sigle sindacali le quali, pur essendo le discendentii dirette di quello che per me è stato il più grande sindacalista italiano, e cioè Giuseppe Di Vittorio (PCI di allora), ne hanno dimenticato l’insegnamento.
Devo fare un’ammissione: quello che dirò sul grande sindacalista è frutto di quanto ricordo degli ‘insegnamenti’ del falegname della frazione dove passavo buona parte delle vacanze nel periodo fra i quindici ed i vent’anni di età; lui aveva fatto la quinta elementare ma, intelligentissimo com’era, leggeva quanto di stampato gli capitasse fra le mani e soprattutto ci ragionava sopra e lo memorizzava; era il capocellula comunista della sua e di altre frazioni circonvicine. Fu lui, di nome Assuero, ad aprirmi un po’ gli occhi (all’epoca io pensavo solamente a studiare) sulle vicende legate al lavoro ed a farmi notare che Di Vittorio proteggeva sì i lavoratori ma principalmente come fruitori dei posti di lavoro e quindi, anche se aveva ingaggiato furiose battaglie contro gli immancabili approfittatori, evitava di fare ‘la guerra’ a chi i posti di lavoro li aveva, ci guadagnava sopra il giusto ed era in grado di crearne di nuovi.
In altre parole aveva almeno parzialmente ripudiata la lotta al ‘padronato’. La mia memoria quindi mi richiama un sindacalista ‘illuminato’ mentre direi che a quelli di oggi, parlo di FIOM e CGIL, mi sembra sia venuta a mancare la corrente. Intendono organizzare scioperi e manifestazioni varie come l’occupazione di fabbriche che sicuramente ottengono, a mio modo di vedere, solo risultati negativi ed in particolare quello di far calare le buste paga degli scioperanti che hanno la fortuna di avere un lavoro e, forse più pericoloso ancora, quello di incoraggiare indirettamente quanti, oltre a quelli che già l’hanno fatto, stanno meditando di spostare le loro attività in altri paesi con evidenti prossime diminuzioni dei posti di lavoro: bel risultato!
Ma, a proposito della manifestazione romana, ho sentito vociferare che la Camusso sia stata accusata di aver fatto viaggiare gratis, probabilmente su pullman del sindacato o in altro modo, buona parte dei partecipanti. Forse si tratta solamente di gossip ma comunque chi ha messo in giro la notizia ha fatto la scoperta dell’acqua tiepida (calda sarebbe stato già qualcosa) in quanto, a quel che ricordo, i viaggi gratis per partecipare a tali manifestazioni sono da tempo la prassi: molti (una ventina o più) anni fa, in occasione di un’altra adunata oceanica (chiedo scusa: le ‘adunate oceaniche’ erano del duce, si legga nuovamente manifestazione) del genere, mentre mi recavo in taxi all’ospedale, il taxista ebbe a dirmi che la volta prossima sarebbe andato anche lui, tanto avrebbe viaggiato gratis o sui pullman del sindacato oppure, in un gruppetto con il fazzoletto rosso al collo, in treno tanto nessuno gli avrebbe chiesto il biglietto, aggiunse poi che, una volta là, avrebbe trovato anche dei banchetti con panini o supplì e birra; e non importava essere iscritti a qualcosa, bastava andare per fare numero; e una gita a Roma ‘a gratis’ valeva sempre la pena. È ovvio che, in tali condizioni, si riesca a far spostare un gran numero di persone. Sindacalismo a spese dei soliti.
Torno a ripetere che non vorrei essere nei panni di Renzi, ma, se lo fossi, cercherei di mantenere ben saldi i miei propositi e di aggrapparmi con tutte le forze alla famosa preghiera dell’alunno napoletano: “Io speriamo che me la cavo”

Attilio Taglia


L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.









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