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L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.


n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 - 27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40- 41- 42- 43- 44 - 45 - 46- 47- 48- 49- 50- 51 - 52 - 53 - 54 - 55 - 56 - 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64
Firenze, 2 Maggio 2013


L'equilibrio
di Giuseppe Di Vittorio

Primo Maggio: ‘Festa del lavoro o Festa dei lavoratori’ ho trovato scritto in Internet dove ero andato a rinfrescarmi la memoria sull’origine di tale giorno festivo. Ma, secondo me, le due dizioni sono tutt’altro che equivalenti: una cosa è la festa del lavoro, cioè una celebrazione, più o meno indipendente da chi il lavoro ce l’ha e da chi non ce l’ha, da chi lo cerca e da chi ha smesso di cercarlo, ma rivolta soprattutto a far comprendere la fatica e l’impegno personale che sono nascosti dentro tale parola; e forse non sarebbe male in tale occasione dedicare anche qualche pensiero a chi, in senso positivo, possa essere in grado di individuarne nuove fonti nonché a chi, in senso negativo, si stia adoperando per limitare quelle esistenti.
La festa dei lavoratori invece, per me, ha un significato più esclusivo: direi quasi analogo a quanto risulta, nelle sacre scritture, a proposito della domenica quando anche il Padreterno stabilì di riposarsi dalle sue fatiche; è quindi, soprattutto, se ci si pensa bene, la festa che distingue l’uomo dalla macchina; se più sopra ho adoperato la parola ‘esclusivo’ è perché, stando ad una definizione del genere, evidentemente, alla festa dei lavoratori non dovrebbero prendere parte coloro che il lavoro non ce l’hanno. Ma qui si entrerebbe in una questione di lana caprina, cioè la difficile separazione fra lavoratori reali e lavoratori potenziali, infatti dai primi dovrebbero essere esclusi fannulloni ed assenteisti mentre nei secondi rientrerebbero anche i neonati.
Meglio lasciar perdere e passare ad altro: adesso sono le 19.15 del Primo Maggio e credo sia già in corso il grande concerto che, a Roma, i sindacati organizzano in questa data riuscendo a far convenire centinaia di migliaia di persone ad ascoltare canzoni e cantanti in voga. Siccome sono molti anni che ha luogo questa manifestazione (che paraltro io non ho mai seguito e quindi conosco poco e solamente attraverso i notiziari televisivi) è da tempo che mi sono chiesto quale ne sia lo scopo reale: cercare di mettere al corrente, in maniera piacevolmente penetrante e tramite un’opportuna scelta di cantanti e testi, i presenti (e gli ancor più numerosi fans televisivi) dei problemi reali del paese oppure, più semplicemente, cercare solo di distrarre giocosamente la gente da tali problemi e lasciare come unico scopo l’effetto pubblicitario a proprio favore?
Ma, a parte il concerto, è proprio in questo periodo che i sindacati avranno un ruolo importantissimo, quasi altrettanto importante di quello del governo, per indirizzare il nostro paese verso un futuro di ripresa; infatti, a mio modo di vedere, buona parte delle nostre possiblità di risollevarci passa attraverso una corretta ‘riforma del lavoro’ laddove convivano sia l’impulso verso un forte rientro dalla disoccupazione che, come è stato detto recentemente in un dibattito, un sollecito riequilibrio fra i lavoratori iperprotetti e quelli senza nessuna protezione. Ora, il rientro dalla disoccupazione dipende fortemente dalla creazione di nuovi posti di lavoro, questo aspetto riguarda principalmente il governo e le sue politiche di rilancio imprenditoriale ma il riequilibrio fra i lavoratori iperprotetti e quelli senza protezione è un compito/dovere che spetta principalmente alle sigle sindacali le quali dovranno trovare la migliore strada (cioè quella più indolore) per far sì che almeno tutti coloro che, approfittando della quasi inamovibiltà di chi è ‘a tempo indeterminato’, si sono trasfomati in fannulloni o in assenteisti, possano essere retrocessi ‘a tempo determinato’ con contemporaneo passaggio al loro posto di validi sostituti a tempo indeterminato. In altre parole credo che, agevolando i passaggi fra le due categorie, si avrebbero contemporaneamente due vantaggi: intimorire i fannulloni e premiare l’operosità, cosa quest’ultima che senz’altro sarebbe assai gradita ai datori di lavoro. In termini ancora più crudi, a mio modo di vedere il ruolo ‘a tempo indeterminato’ dovrebbe essere soggetto a periodiche verifiche di idoneità. Immagino che quest’ultima cosa possa oggi essere considerata quasi una bestemmia sindacale ma è un’elaborazione della mia memoria.
In effetti, involontariamente, sono tornato indietro nel tempo e mi è tornato in mente quello che io credo sia stato il più grande sindacalista del dopoguerra: Giuseppe Di Vittorio, uomo che allora, dato che non esistevano limitazioni al diritto di sciopero, aveva un potere enorme ed era in grado, se proclamava lo sciopero generale, di bloccare realmente il paese; ma, se ben ricordo, non ha mai abusato di tale potere e, con equilibrio, ha protetto efficacemente non solo i lavoratori ma anche, e forse soprattutto, il lavoro ritenendo, credo, del tutto inutile proteggere i lavoratori ai danni di chi il lavoro poteva darglielo. E da lì ebbe inizio il ‘miracolo economico’. Ed allora, speranzoso, auguro:
“Buon lavoro a tutti!”

Attilio Taglia










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