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Firenze, 30 Marzo 2014

Concorsi ridicoli

Stimolato da un articolo di Gian Antonio Stella (al quale evidentemente stanno molto a cuore le vicende che riguardano la scuola italiana) sul ‘Corriere’ avevo detto la mia sull’argomento concorsi universitari nella riflessione n° 90 del 9/1/14.
Due o tre giorni fa lo stesso autore, sullo stesso quotidiano, torna sull’argomento con un articolo dal titolo: “Concorsi universitari, una brutta figura” in cui si parla di una lettera, spedita da un gruppo di eminenti economisti stranieri al ministro dell’istruzione, in cui si lamenta la ‘bocciatura’ di colleghi italiani di alto livello anche internazionale dotati di numerose pubblicazioni e notevoli numeri di ‘citazioni’; nello stesso documento si faceva anche rilevare che spesso il ‘livello’ dei commissari era più basso di quello dei candidati. Senza rimangiarmi nulla di quanto scritto nella riflessione sopra citata e senza voler spezzare una lancia a favore del ministro vorrei far notare che, secondo me, gli eminenti studiosi stranieri hanno contemporaneamente ragione e torto. Hanno probabilmente ragione per quel che riguarda il paragone fra commissari e candidati ma, con tutta probabilità, hanno forse torto, come già spiegato in precedenza (n° 90), sia per quel che riguarda il numero delle pubblicazioni che per quello delle citazioni; queste ultime infatti dipendono molto, oltre che dall’importanza dell’argomento trattato, dal suo aspetto per così dire ‘modaiolo’; mi spiego con un esempio:
negli ultimi giorni sono state riportate importanti scoperte nel campo dell’astronomia e/o della cosmologia e cioè la scoperta di un nuovo ‘sole’ gigantesco, l’osservazione di un asteroide dotato di anello come Saturno e la messa in evidenza di un nuovo piccolo pianeta; ebbene sono quasi certo che un gran numero di astronomi si ‘butteranno’ sulle novità approfondendo, sì, le conoscenze in proposito ma soprattutto citandosi reciprocamente esaltando così le proprie possibilità di carriera.
Inoltre le citazioni dipendono anche dal tipo di argomento trattato e pertanto lavori magari anche importantissimi ma ‘di nicchia’ non possono raccogliere grandi numeri di citazioni.
Quindi i guai dei concorsi universitari dipendono essenzialmente dagli ‘strani’ criteri scelti per la valutazione dei candidati; tali criteri (e questo vale anche per quanto esposto dagli eminenti economisti stranieri) hanno poi da sempre il gravissimo difetto di non tenere in alcun conto sia l’abilità che l’esperienza didattica dei candidati; cioè come se il saper insegnare non avesse nessuna importanza per chi dovrebbe essere poi preposto a farlo. Mah!
Ma non voglio essere solamente negativo: forse si potrebbe ovviare a quanto sopra assai semplicemente eliminando i concorsi come congegnati ora, con le loro possibilità di ‘trucchi’, per esempio circa le elezioni dei commissari, nonché assai spesso con gli evidenti accordi sottobanco fra le diverse massonerie (reali, ecclesiastiche, politiche e probabilmente anche con qualche ‘spruzzo’ di malavita organizzata). A questo proposito ricordo un concorso di tanti anni fa per il quale un candidato, appena conosciuta la composizione della commissione giudicatrice e quindi molto prima dell’espletamento del concorso vero e proprio, depositò da un notaio l’elenco dei vincitori nonché quello dei più che meritevoli non vincenti commettendo un solo errore; ovviamente tutto ciò, pur reso noto ed oggetto di ricorso, non ebbe nessuna conseguenza!
Ho detto eliminando i concorsi e credo di poter suggerire (come se qualcuno di importante potesse venire a conoscenza di quanto scrivo) una via alternativa (il discorso sarà un po’ lunghino ma cercherò di stringere al massimo) basata sulla competenza e dinamicità dei Consigli di Dipartimento (della cui composizione presente non sono certo) che prevederei costituiti dalla totalità dei professori di prima e seconda fascia e dei ricercatori confermati (fra i quali i ricercatori non confermati potrebbero nominare alcuni loro rappresentanti). Su motivata richiesta il Ministero fornisce solamente posti di ricercatore i cui concorsi, aperti a tutti, hanno luogo in sede locale con commissione dipartimentale.
Dopo il periodo richiesto, ed a seconda delle necessità didattiche e/o di ricerca, il Dipartimento stabilisce quali, e quanti a seconda dei posti disponibili, ricercatori possano accedere alla conferma; analogo comportamento dovrebbe aver luogo per il passaggio da ricercatore confermato a professore di seconda fascia. Ma per il passaggio alla prima fascia prevederei un meccanismo diverso legato esclusivamente alla presidenza del Consiglio di Dipartimento: chiunque, ricercatore confermato o professore di prima o seconda fascia, venga eletto alla presidenza (durata in carica 5 o 6 anni) diviene ipso facto professore di prima fascia e resterà tale anche alla fine del suo mandato.
Ovviamente questo meccanismo necessita di almeno tre condizioni irrinunciabili: innanzitutto il pensionamento per tutti e senza eccezioni, dai ricercatori ai professori di prima fascia, al compimento del 65° anno di età (spetterà al Ministero il ‘riciclaggio’ in idonee strutture di eventuali eccellenze); secondariamente la separazione delle carriere dei docenti e dei ricercatori (rifl. 90); infine il Dipartimento potrà, se lo riterrà opportuno, ‘chiamare’ personale qualificato ‘esterno’ a ricoprire i propri posti vacanti, questa condizione dovrebbe tendere ad evitare il possibile difetto di un’eccessiva ‘localizzazione’ del personale a svantaggio di possibili ‘supercandidati’ esterni. Forse mi sbaglio ma ritengo che un meccanismo del genere, certamente non esente da difetti che però per adesso non vedo, sia di gran lunga da preferirsi rispetto a quanto avvenuto fin qui relativamente ai concorsi universitari.
Piuttosto, a proposito di scuola, Renzi ha ripetutamente detto che intende migliorarla perché è su una buona scuola che si basa l’avvenire di una nazione: sono pienamente in sintonia con lui ma si tratta di mettersi d’accordo sul significato di quel ‘buona’ perché non vorrei che, in accordo con la tradizione sia ecclesiastica che di certa sinistra, quell’aggettivo volesse celare l’uso dell’insegnamento ai fini di indottrinamento dei giovani e giovanissimi verso una qualsiasi tendenza quando invece il vero compito della scuola ritengo sia quello di ingenerare la massima possibile apertura mentale dopo di che ognuno sceglierà liberamente la sua via.
Ma tanto il nostro Presidente del Consiglio ha ora ben altre gatte da pelare prima di poter dedicarsi alla scuola e, stando ai commenti che sento, pur seguitando a sperarci molto, mi sembra sempre meno probabile, avendo ora contro burocrazia, sindacati, buona parte del suo partito nonché dei senatori che si sentono, a partire dal loro presidente, scivolare via le comode poltrone, che riesca a portare a termine le riforme concordate con l’ex (riflessione precedente).
E forse fa anche pericolosa invidia la simpatia che, a causa principalmente del suo dinamismo, sembra aver suscitato nel Presidente USA; ma,a proposito di quest’ultimo, sono rimasto particolarmente colpito dal sorriso che si sono scambiati lui e Francesco al piccolo incidente dei semi omaggio caduti: non un sorriso stereotipato come quasi tutti quelli fra persone importanti di fronte alle telecamere, un sorriso cioè non solo con le labbra ma anche con gli occhi. Una cosa così fra due delle persone più importanti della terra non saprei dire perché ma mi ha rinfocolato la speranza di tempi migliori.
E spero per tutti che si riveli una sensazione veritiera.

Attilio Taglia


L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.









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