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L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.


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Firenze, 21 Settembre 2012

Alla FIAT
abbiamo già dato

  “E stavolta non posso che essere in pieno accordo con Della Valle che per primo ha attaccato la dirigenza FIAT e con la Camusso per quanto ha detto con vigore sull’argomento e che è stato riportato dai telegiornali.
Quello che mi sorprende è che venga fuori solo ora che si trattava di lupi e non di agnelli; lupi della finanza che fino quasi ad oggi, a partire dal primo dopoguerra, sono tuttavia stati coccolati e protetti da tutti i governi che si sono via via succeduti da allora e che hanno provveduto anche, in momenti di crisi (magari solo presunta o di comodo), ad elargire in varie forme aiuti finanziari per il terrore di possibili licenziamenti. E la combutta è andata avanti talmente bene che, ad un certo punto, il grande capo dell’azienda ha ottenuto anche di essere nominato senatore a vita. Ora io posso capire che, nel primo dopoguerra quando c’era da ripartire quasi da zero, fosse essenziale cercare di rimettere rapidamente in funzione con sussidi la produzione industriale, ma successivamente, durante e dopo il famoso miracolo economico, la cosa che, magari velatamente, proseguiva cominciò, ai miei occhi, ad avere qualcosa di sospetto ed “annusai” che ci fosse sotto un qualche “do ut des” ed è per questo che più in alto ho usato la parola combutta.
Altra cosa che mi sorprende è che i vari competenti si accorgano con timore solamente adesso che la FIAT intende abbandonare l’Italia: nel mio piccolo l’ho pensato fin dal momento che si accollò parte del deficit della Chrysler e, fino a qui, gli eventi sembrano darmi ragione. Certo che, se si considerano le cose dal punto di vista della dirigenza FIAT, è difficile dar loro tutti i torti: per restare in piedi, un’azienda deve guadagnare, con le vendite, non solo quanto serve per pagare i dipendenti e ricavare capitali da dedicare agli ammodernamenti, ma anche quanto serve per soddisfare gli azionisti; ed allora, in tempi di crisi, si deve cercare di produrre a prezzi più bassi o riducendo il personale al minimo indispensabile per il livello di produzione o spostando quest’ultima in paesi dove il prezzo della forza lavoro sia più basso. In Italia, con le leggi attuali, la prima strada è impercorribile e la seconda, già intrepresa da tempo, forse non ha dato i risultati sperati; quindi non restava che la soluzione di spostarsi in paesi dove il personale improduttivo possa essere licenziato senza tanti complimenti. Però, a mio modo di vedere, da incompetente sia di finanza che di conduzione industriale, forse si possono addebitare all’azienda anche errori di progettazione e gestione come, per esempio il far uscire a tre porte ed a un prezzo esorbitante la nuova 500 in un momento in cui il mercato di quella fascia di vetture era già quasi stato saturato dalla concorrenza franco-giapponese con ottime vetturette a cinque porte ed a un prezzo di gran lunga inferiore. Forse hanno contato inizialmente sulla massa di curiosi che non sa resistere alle novità; ora io non so se abbiano avuto ragione e se la 500 sia stata un successo ma, a naso, ritengo che, dopo aver soddisfato le richieste iniziali dei curiosi, le vendite non siano andate avanti troppo bene neppure negli USA. Ora sembra stia per uscirne (al solito in grave ritardo) una versione a cinque porte alla quale, in ogni modo, auguro, anche se ci credo poco, un grande successo.
Annoverata fra quelle d’ufficio da parte di chi sta alla greppia la difesa di Montezemolo, non mi metterò certo a piangere se la FIAT abbandonerà definitivamente l’Italia, specialmente se le converrà, come credo, lasciare in questo paese le produzioni Ferrari e Maserati. Ad essa, come ha implicitamente suggerito anche la Camusso, potrebbe vantaggiosamente essere sostituita (purché non diventi il solito carrozzone) un’azienda automobilistica di Stato, uso Renault in Francia, che, riassorbendo, con severi controlli e non in base all’iscrizione a partiti o sindacati, la parte efficiente delle maestranze abbandonate, potrebbe ridar vita a vecchi gloriosi marchi come “Itala” per le vetture medio-piccole, “SPA” per i mezzi industriali, “Isotta Fraschini” per le auto di un certo prestigio fra le quali, come ho già detto in una precedente riflessione, sarebbe auspicabile uscisse la nuova vettura completamente italiana del Presidente della Repubblica. E così sia.
Quanto sopra l’avevo scritto due o tre giorni fa, a caldo, poi, ieri, ho sentito, dalla stanza accanto dove stavo prendendo appunti per un altro scritto, che Marchionne avrebbe affermato che lui non intende allontanare la FIAT dall’Italia ma che non può farlo da solo. Arguisco che, nel colloquio con Monti di sabato prossimo, voglia tornare, come è abitudine dell’azienda, a batter cassa. E qui, per il Presidente del Consiglio, la vedo dura. Infatti se, magari facendosi scudo delle difficoltà economiche, opponesse un secco rifiuto (cosa che io mi auguro) molto probabilmente si troverebbe anche contro la stessa Camusso che, nonostante le invettive dell’altro giorno, non vorrà certo perdere gran parte di quella grossa fetta del suo potere costituita, per dirla alla Sciascia, da “uomini, mezz’uomini, ominicchi e quacquaracquà” della FIOM che sono comodamente annidati nell’azienda e nei suoi satelliti. E, sotto sotto, ci annuso anche la possiblità di una nefasta crisid i governo.
D’altra parte se l’attuale governo, come quasi tutti i precedenti, cedesse al tentativo di ricatto la spesa andrebbe senza dubbio a ricadere necessariamente sui contribuenti italiani, e cioè principalmente su quel tartassato ceto medio che, al giorno d’oggi è costituito anche da quei dipendenti FIAT che, essendo occupati, iperprotetti, quasi sicuramente proprietari delle loro case, e quindi pagatori di IMU, nonché dotati di mezzi di trasporto personali, non appartengono più, di fatto, a quella che un tempo si chiamava “la classe operaia”.
Sono proprio curioso di arrivare a sabato per vedere se ho ragione o no.

Attilio Taglia










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