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L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.


n. 1 - 2 -3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - Firenze, 30 Aprile 2012

...e l'Articolo 18?

  Spinto dal “rumore” mediatico di questi giorni avevo pensato di scrivere il mio punto di vista sulll’articolo 18. Ed avevo cominciato così:
A meno che tu non sia il suo vero amico e ti riconosca anche come capobranco, qualsiasi cane ti mostra come minimo i denti se cerchi di portargli via la ciotola della pappa ancora mezza piena.
Se consideriamo come cane qualsiasi sindacato o partito e come ciotola questo benedetto articolo 18 ci possiamo spiegare il perché di tutto questo baccano. Infatti, poiché, come è anche nella natura umana, il primo interesse di qualsiasi ente (sindacato, partito, addirittura parlamento eccetera) non è tanto quello di fare il bene della nazione quanto quello di perpetuare se stesso, la possibilità che i propri attivisti, propagandisti, sicuri sostenitori, parenti ed affini possano essere allontanati dai loro tranquilli posti di lavoro per scarso rendimento equivale all’allontanamento della ciotola.
Mi sarei poi dilungato a spiegarmi meglio. Durante la notte però mi sono accorto che tutta la faccenda poteva essere “liquidata” molto più brevemente e forse piacevolmente con quattro strofacce in rima.
Le riporto qui sotto.

Quest’articolo diciotto
vi confesso mi ha già rotto
ma dovrem pagar lo scotto
altrimenti si fa il “botto”.

Per uscir dall’emergenza
basta solo l’efficienza
ma dovremo aver pazienza
‘chè c’è molta resistenza

di color che impunemente
sono avvezzi a non far niente
e a campar serenamente
sulle spalle della gente.

A partiti e sindacati
scoccia perder ‘sti alleati
con fatica già piazzati
a “livelli” delicati.

Ma per me non c’è altra via,
per restar democrazia,
che la meritocrazia.
E speriamo così sia.

E qui, con buona pace di coloro che perderanno il “posto” (non il lavoro) a vantaggio di chi è capace ed ha voglia di lavorare, chiudo l’argomento.
Vorrei però aggiungere un’altra considerazione (tanto sempre di lavoro si tratta) che,da un certo punto di vista, dovrebbe essere gradita al partito radicale che tanto, e giustamente, si batte per diminuire il sovraffollamento delle carceri.
Siccome sono convinto che in Italia esistano nelle campagne ampi spazi lasciati incolti dall’inurbamento delle famiglie (causato principalmente dalla donne che volevano “vivere in città”), riterrei sarebbe utile creare lì delle grandi aziende agricole, dotate di quanto necessario per essere autosufficienti, e riempirle dei carcerati in grado di lavorare.
Non si tratterebbe di “lavori forzati” ma di vita semilibera in campagna con quel tanto di lavoro utile al proprio sostentamento ed a quello dell’azienda.
Naturalmente, siccome l’agricoltura non entra immediatamente in produzione, per i primi anni occorrerebbero degli aiuti, ma questo non credo sarebbe un problema, tanto da mangiare gli andrebbe dato anche nelle carceri sovraffollate.
Penso anche che, in non molto tempo, queste aziende potrebbero perfino essere in grado di cedere quanto avanza della produzione per investire poi il ricavato nel miglioramento delle condizioni di vita.
Ma, natutalmente, quanto sopra non andrà bene a nessuno.
Pazienza.

Attilio Taglia










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