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L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.


n. 1 - 2 -3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - Firenze, 17 Aprile 2012

Quando c'era
la Fotografia...

  Ho ereditato la passione per la fotografia da mio padre che già era appassionato e faceva foto, con una ICA 9X12 a lastre che ho ancora, durante la guerra del ’15-’18.
Mi regalò la mia prima macchina fotografica, una 6X9, quando avevo circa dieci anni e, pazientemente mi insegnò ad usarla. A quei tempi, per ottenere una corretta esposizione del negativo, bisognava saper stabilire l’accoppiata tempo/diaframma, in base alla velocità della pellicola, valutando a occhio la luminosità del soggetto.
Naturalmente mi ci volle un po’ di tempo prima di riuscire a sbagliare poco evitando anche quelle situazioni illusorie come le nebbie, soggetti di notevole interesse, che sembrano poco luminose ed invece “bruciano” le pellicole.
Alla fase ripresa seguiva quella di sviluppo del negativo e successiva stampa del positivo da farsi rigorosamente in camera oscura ed usando bagni di sviluppo e fissaggio preparati, a partire da prodotti chimici selezionati, secondo ricette semisegrete messe a punto, a Forlì fra le due guerre, da mio padre con un suo amico medico, altrettanto ottimo fotografo, che, durante la seconda guerra, sviluppava e stampava i caricatori della Contax nera (che ho usato abbastanza a lungo anche io ed è ancora funzionante) che mio padre gli mandava dal fronte.
Pian piano, a partire dalla fine degli anni ’40, mi impratichii anche delle operazioni di camera oscura e questo mi si rivelò piuttosto utile, molto più tardi, anche nel mio lavoro che spesso richiedeva accompagnamento di materiale fotografico che, naturalmente, preparavo personalmente avendo così la scusa di starmene a casa nella piccola camera oscura ricavata da un ripostiglio.
Per l’Anno Santo la 6X9 si trasformò in una Rolleiflex 6X6 più comoda per la messa a fuoco e che aveva il non piccolo vantaggio di poter fotografare senza che la gente comune se ne accorgesse, infatti, mentre io stavo voltato diciamo verso nord potevo riprendere verso est o verso ovest; questo risultava particolarmente utile nel caso di foto di bambini che altrimenti le madri si sarebbero affrettate a pettinare e mettere in ordine togliendo ogni spontaneità.
Ora credo sia difficile trovare ancora pellicole per la Rolleiflex o per la Super-Ikonta Zeiss 4,5X6 con telemetro che le succedetteì e che è stata a lungo la mia macchina prediletta. A quest’ultima seguirono, con l’avanzamento della tecnologia, una Nikormat con obiettivi da 50 e 200 mm, oltre che di tutto quello che serviva per micro e macro fotografia, ed una piccola Olympus armata di un 35 mm; con queste ultime, ovviamente dotate anche di esposimetro incorporato, ho ”lavorato” fino ad oggi e sono ancora cariche entrambe. Pochi mesi fa mio figlio mi ha regalato una macchina digitale che, in 200 grammi, promette e, per quel che posso dire finora, mantiene quanto facevano le altre due insieme.
Ma il fascino è finito.
Devo dire che, per quanto mi riguarda, il fascino aveva avuto già un brutto colpo nel passare dalla fotografia in bianco e nero, che per me resta irraggiungibile, a quella a colori (vedo però con piacere che alcune pubblicità di un certo livello, sia nella stampa che in TV, stanno riesumando almeno parzialmente il b/n) in quanto, a meno che uno non potesse disporre di costose attrazzature, eliminava di fatto, dopo l’inquadratura (cosa del tutto individuale), l’altrettanto importante, e remunerativa dal punto di vista di soddisfazione, attività di camera oscura; era lì infatti che spesso, magari da un solo fotogramma non tanto significativo nell’insieme, si potevano ricavare diverse stampe di ben maggiore interesse dando così altro spazio alla creatività personale.
Oggi tutto questo è sparito a causa dell’aggressione della tecnologia: quasi tutte le macchine fotografiche ed anche i telefonini o altri marchingegni del genere fanno tutto da soli, mettono a fuoco l’immagine, zoomano a piacere, scelgono i tempi di esposizione, stabiliscono se è necessario l’uso del flash, possono fare anche brevi filmati eccetera; a te lasciano solo la scelta dell’inquadratura, il che è già qualcosa purché uno abbia occhio o riesca a prevedere quello che ricaverà dall’immagine con l’uso di opportuni programmi di computer che hanno di fatto sostituito quanto, in modo assai più personale, si faceva in camera oscura. Ora basta, abbastanza aridamente, pestare i bottoni giusti. Insomma siamo passati dal pane fatto in casa, non alla produzione artigianale già più di livello, ma a quella industriale di grande quantità ma misera qualità.
L’unica cosa che mi conforta un po’, in questo semiforzato affievolirsi della passione di un tempo, è il fatto che, dotandomi di opportuni scanner, potrò ripercorrere alcuni spazi della mia attività in questo campo facendo rivivere alcune inquadrature ripescate dalla valigiata di negativi che, nei vari formati, ho accumulati nel tempo. E tornerò a vedere alcune delle immagini formate dalla luce e non dal colore. Lo so che è una cosa da vecchi, ma spero che nessuno se la prenda con me per questo.
Non voglio entrare nel campo dei consigli per le inquadrature, di questi se ne trovano a iosa, di buoni e/o di inutili, in qualsiasi libro sulla fotografia; l’unica cosa che posso invece suggerire è che chiunque, dopo un po’ di tentativi per impratichirsi, cerchi di sfruttare al massimo la sua fantasia. Infatti ognuno di noi ha un proprio senso estetico e deve seguirlo per ottenere risultati che lo soddisfino. Poi l’inquadratura e la sua eventuale elaborazione al computer sono le uniche libertà rimaste e quindi vanno religiosamente conservate. Come non ci si deve abbattere per alcuni iniziali insuccessi, così non ci si deve mai illudere che una fotografia, per noi ottima, piaccia a tutti. E questo, da un certo punto di vista, è una fortuna; infatti,se avessimo tutti gli stessi gusti vorremmo sempre tutti la stessa cosa o meglio, come diceva il padre di un mio amico fraterno, «se fossimo tutti uguali dovremmo essere tutti nello stesso posto allo stesso momento», cioè, se ci sono io ci dovrebbero,essere anche tutti gli altri; sai che confusione in Piazza del Campo alle otto di mattina!.
La Natura ha pensato bene di provvedere diversamente.

Attilio Taglia










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