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L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.


n. 1 - 2 -3 - 4 - 5 - 6 - Firenze, 5 Marzo 2012

Leggevo forsennatamente...

  Io sono stato fascista, e convinto, per giunta. Da figlio della lupa ero gloriosamente diventato balilla e stavo ardentemente aspirando a diventare avanguardista quando la vita mi dette la mia prima delusione.
Avevo la bellezza di dieci anni e, siccome il 25 Luglio si era in vacanza in campagna, cominciai ad affogare il mio dispiacere con la lettura che era, a quei tempi, l’internet di oggi.
Leggevo di tutto ma i libri di avventura erano i miei preferiti: ne prendevo uno, salivo sopra un cipresso amico sul quale si poteva anche sdraiarsi e lì, a due o tre metri da terra, passavo ore ed ore. Così mi feci fuori quasi tutto Salgari, buona parte di Verne nonché “I tre moschettieri”di Dumas.
Evidentemente la propaganda, che allora credevo dicesse verità, mi aveva inoculato uno spirito battagliero e, leggendo, mi pareva di partecipare ai vari duelli, battaglie marine o scontri fra armati di fazioni nemiche. E parteggiavo per quelli che eleggevo miei eroi; non sempre quelli più evidenti: per esempio ricordo che preferivo l’astuzia di Yanez all’aggressività di Sandokan.
Pian piano, a forza di leggere, la delusione andava attenuandosi e così, quando mio padre tornò a casa dopo l’8 Settembre e seppe della mia attività di lettore, mi consigliò di dare un’occhiata ai libri che aveva sull’avventura della grande guerra.
Si trattava di libri sulle azioni dei sommergibili in Adriatico o sull’attività della nostra aviazione da caccia; fra questi ultimi c’era però anche il libro sulle gesta e la vita dell’asso tedesco Von Richthofen più noto come “Il barone rosso” che molti dei più giovani ricorderanno come l’acerrimo nemico dei sogni di Snoopy.
Qualche tempo più tardi, quando mi ero appassionato alle vicende del ’15-’18 e, avendo allora una discreta memoria, me ne ero anche fatto una certa cultura, mio padre tirò fuori da qualche posto, dove era stato ben nascosto durante il ventennio, il vietatissimo “All’ovest niente di nuovo” di Remarque. Fu come una mazzata, lo lessi e rilessi rendendomi lentamente conto che potevo ben mandare il mio spirito battagliero a quel paese e che la guerra è solamente da esecrare.
Ma è nata con gli uomini e dipende dalla loro natura e così credo che finirà insieme a loro. E, se da una parte o dall’altra della terra c’è continuamente chi trova il verso di menare le mani, i grandi eventi bellici come le due ultime guerre dovrebbero tendere a diradarsi anche perché, con le armi che ci sono ora, si potrebbe rischiare addirittura la stabilità di tutto il pianeta. Ma prima o poi ci ricascheremo. Forse, da questo punto di vista, aveva ragione il Vico con la sua spirale della storia che prevedeva il ripetersi degli eventi. Infatti, secondo me, in questo momento stiamo assistendo ad un’altra espansione arabo-islamica alla quale seguirà un altro Carlo Martello e così via.
C’è anche chi sostiene che le guerre servono a far “sbollire” il sangue dei giovani e che questa necessità possa essere rivelata, per esempio, dall’assumere anche incoscientemente, da parte degli uomini, aspetti indici di bellicosità come il dotarsi di baffi e barbe. Anche il tingersi il viso, tipico di alcune tribù africane e dei pellerossa, prima di andare in battaglia avrebbe lo stesso significato.
Se questo fosse vero l’attuale mania dei tatuaggi sarebbe un brutto indice.
Esclusa, ovviamente, la farfalla di Belen. Che, come era prevedibile e come sento già confermare, sarà ampiamente imitata ed esposta durante l’estate anche da chi, non avendo disponibili un’attrezzatura fisica ed un’eleganza di movimento anche solo paragonabili a quelle dell’iniziatrice, in fatto di attrattiva potrà più rimetterci che guadagnarci.
Ma mi sorge un dubbio: l’idea della farfalla non sarà mica di quel marpione del suo uomo, abilissimo utilizzatore della bellezza femminile?

Attilio Taglia










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