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L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.


n. 1 - 2 -3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - Firenze, 26 Marzo 2012

La Scuola che vorrei...

  La scuola è come la famosa ragazza dalle belle ciglia che tutti vogliono ma nessuno piglia: la vuole la Chiesa, la vuole lo Stato, la vogliono anche delle Istituzioni private. E’ logico perchè la scuola è il miglior mezzo di fare proseliti utilizzando sottili ed abilissimi lavaggi del cervello. All’interno dello Stato, poi, ogni partito ha la propria sezione scuola dedicata principalmente a far sì che nelle leggi sia contenuto il più possibile di quanto può avvantaggiare la propria fazione.
Ma nessuno la piglia perchè connessi ad essa ci sono problemi enormi e di difficile soluzione: il primo è ovviamente quello dei finanziamenti che, oltre all’edilizia ed alle attrezzature servono per gli stipendi del personale, questo problema è talmente grosso che qualsiasi governo, pur costretto dalla Costituzione e nonostante vari strombazzamenti, trova il verso di far andare le cose talmente per le lunghe da passare la patata bollente al governo successivo.
Il secondo problema grosso è quello del reclutamento degli insegnanti: questo potrebbe essere “aiutato” dal portare gli stipendi a valori tali da invogliare i “migliori” a restare, a qualsiasi livello, nella scuola piuttosto che andarsene verso impieghi magari non soddisfacenti ma più remunerativi; per esempio, stipendi perlomeno il doppio o meglio il triplo di quelli attuali.
Ho detto “aiutato” perché il miglior insegnante non è necessariamente, secondo me, la persona più competente, bensì quella che ad una competenza sufficiente unisce quel grande dono della natura che è la capacità di “sbriciolare” e di comunicare.
Siccome la capacità di comunicare è una cosa difficile da quantificare, credo che l’attitudine all’insegnamento dovrebbe essere valutata sperimentalmente cioè affidando per esempio una classe di una scuola ad un candidato per un certo periodo di tempo ed accertando poi a che livello medio sia riuscito a portarla.
La questione del livello medio è però spinosa: ho assistito, all’estero, ad una discussione fra due professori uno dei quali sosteneva che le lezioni andavano impostate al livello degli studenti migliori mentre l’altro era certo che le lezioni dovevano essere tali da sollevare il livello dei peggiori dando però qualcosa di nuovo anche ai migliori in modo da non annoiarli con continue ripetizioni. Siccome il livello “medio” può essere costituito sia da un pari numero di migliori e peggiori che da una importante maggioranza di intermedi risulta difficile stabilire quale dei due metodi sia più vantaggioso per il futuro, questo, naturalmente, a parità di “altezza” del livello medio.
Il terzo problema è forse il più difficoltoso da affrontare: riguarda il modo di educare gli studenti alla scuola ed allo studio. Siccome, per me, l’educazione comincia ad anni zero, la prima parte del compito spetta ai genitori. E qui cominciano i guai perché, al giorno d’oggi, per mandare avanti una famiglia anche piccola, occorrono due stipendi e quindi padre e madre non sono in grado che parzialmente di assumersi questo compito; i nonni non sempre ci sono e poi sono per natura troppo dolci per la bisogna. Esistono quelle ottime e necessarie istituzioni che si chiamano asili nido ma che, per me, hanno il difetto di far mancare ai neonati quella sicurezza data dal calore e dal’odore della madre. Pertanto i migliori insegnanti, a questo livello sarebbero le madri che hanno il formidabile aiuto dell’isitinto e che, per esempio, capiscono dal suono se un bambino piange perché sta male o se si tratta di una bizza e quindi è meglio lasciarlo piangere: “gli crescono i polmoni” dicevano nelle campagne.
I padri invece non sono solitamente molto adatti a questa prima educazione (che io definisco “istintiva” perché basata esclusivamente sull’istinto del piccolo non ancora in grado di ragionare) in quanto non essendo aiutati dalla natura, temono di sbagliare e diventano eccessivamente protettivi. Infatti ritengo che un piccolo dolore fisico sia un ottimo “educatore” perlomeno fin tanto che un bimbo non comincia a ragionare. Appena tocca lo sportello del forno caldo e sente bruciare un bimbo impara subito che quello non si deve fare e se lo ricorda.
Quando ero piccolo, nelle campagne, per “drizzare” i bimbi usava il rametto di salice, non il piangente, l’altro dai bei rametti sottili, flessibili anche eleganti con il loro colore arancione dorato che però, quando arrivavano sibilando nei polpacci facevano immediatamente capire che si era per una strada sbagliata. Anche se, in barba a certe moderne teorie, sono convinto che qualche “ripassata” potrebbe servire anche abbastanza più tardi, questa educazione istintiva dovrebbe terminare quando il bambino diventa in grado di ragionare e capire ed a patto che sia anche già istruito ad obbedire.
Quanto sopra per arrivare al punto che, quando si arriva alla scuola materna e l’educazione scolastica (ma spesso anche parte di quella formale) passa agli insegnanti (dovrei forse dire alle maestre) il bambino dovrebbe già essere “gestibile” in modo, oltre che di permettere a chi lo guida di poter svolgere serenamente il proprio compito, anche di essere in condizione di poter trarre il massimo vantaggio nella preparazione per il gradino superiore, là dove comincia la scuola vera e propria.
Anche se l’educazione istintiva e quella materna sono le fondamenta, il vero edificio dell’istruzione comincia alle elementari che costituiscono l’importantissima base di partenza di quel viaggio attraverso lo scibile che, almeno in linea di principio, non dovrebbe avere limiti. E’ ovvio che, data l’età degli allievi, questa importantissima fase iniziale richiede insegnanti di elevatissime capacità e quindi la loro selezione dovrebbe essere particolarmente curata.
Non mi illudo che si possano reperire migliaia e migliaia di “maestri Manzi”, ma si dovrebbe fare il massimo sforzo per assicurare alle scuole quanto di meglio ovviamente mettendo al bando parentele, amicizie, appartenenze a partiti, congregazioni, massonerie e lobbies di qualsiasi genere. E questo è un altro nodo ingestibile.
Ma tornando più strettamente al “meccanismo” della scuola elementare, io non vedo di buon occhio l’uso di più insegnanti e lo limiterei solo all’ultima classe come preparazione alle scuole medie; infatti credo che, a quell’età, le istintive simpatie verso l’uno o l’altro insegnante possano deviare l’interesse del bambino verso discipline per le quali magari non è naturalmente incline. Inoltre sarebbe utile che gli allievi imparassero a leggere dai libri più che dagli schermi nonché a fare a mente i loro piccoli calcoli; fortunatamente sento dire che è tornato un po’ di moda fare imparare qualche brano a memoria, cosa per me utilissima come esercizio.
Non ho molto da dire sulle scuole medie sia inferiori che superiori tranne il fatto che mi lascia perplesso la suddivisione in vari indirizzi delle secondarie superiori, infatti ritengo poco probabile che un giovane di tredici-quattordici anni possa essere certo della direzione da prendere; quindi questa scelta viene fatta da altri in base ai più diversi criteri e può rivelarsi sbagliata. Sarà ancora più problematica la scelta direzionale alla fine del percorso medio laddove io abolirei quell’insieme di vari puri nozionismi che si chiama “esame di maturità” e lo sostituirei, per chi vuole, con un esame di ammissione qlle varie facoltà da non ripetersi oltre un limitatissimo numero di volte.
Avendo spostato la scelta ad una età più consona, posso riferire come decise un mio compagno della maturità che, a suo dire, non si sentiva incline verso niente ma aveva ben chiaro un suo fine: se ne andò in una città universitaria dove c’erano quasi tutte le facoltà e, pazientemente le visitò una per una scegliendo poi quella che aveva davanti le macchine più lussuose.
D’altra parte il fare quattrini può essere considerato un ottimo impegno ma solo per i protestanti, per i cattolici è quasi un peccato mortale.
Per l’università, da un punto di vista esclusivamente scolastico e per quanto ne so io, mi appare molto contraddittorio il fatto che le carriere dei docenti siano basate esclusivamente su concorsi nei quali conta quasi solamente l’attività di ricerca mentre l’attività didattica viene praticamente trascurata. Se si tratta di “docenti” la valutazione dovrebbe essere invertita. Fermo restando che anche quelli che insegnano devono fare della ricerca per tenersi aggiornati, non sarebbe meglio separare le due carriere?
Da un punto di vista politico, invece, innanzitutto abolirei le “lauree” triennali sostituendole, se proprio si ritenesse necessario, con diplomi universitari (con titolo Du e non Dr o Dott), secondariamente sarei dell’opinione di limitare il numero di accessi alle varie facoltà a quello, valutato da opportune stime, ritenuto necessario per il paese. Altrimenti ci si troverà sempre, come oggi, con una marea di “dottori” frustrati in cerca di lavoro o costretti a lavori di ben magra soddisfazione.
A supporto di quest’ultima considerazione dirò che sono convinto che un buon diploma di scuola secondaria superiore unito all’intelligenza ed alla, purtroppo quasi sempre assente, voglia di lavorare possa permettere di raggiungere elevatissimi traguardi. In fin dei conti il ragionier Valletta che ha guidato per molti anni la FIAT ebbe il titolo di ”Ingegnere honoris causa” solo verso la fine della sua brillantissima carriera.
Ma ora smetto di sognare.

Attilio Taglia










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