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L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.


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Firenze, 21 Maggio 2012

Voglia di lavorar...

  Giorni fa, in un telegiornale della sera, un dirigente di una grossa società milanese nel campo dell’alimentazione si lamentava perchè molti aspiranti alle offerte di lavoro della sua azienda, ritenuti idonei, rifiutavano poi l’assunzione (si trattava magari di partire dal basso, per esempio di cominciare ad imparare come si lavora una pasta a lievito) perchè “loro avevano studiato”; nel servizio, poi, seguivano alcune interviste agli aspiranti fra le quali mi ha colpito quella di una ragazza che, con notevole prosopopea, spiegava che lei era laureata, aveva il tale diploma eccetera eccetera e che quindi non le andava l’umile lavoro di partenza ma piuttosto sarebbe andata a cercare un adeguato lavoro (iniziando come cameriera?) all’estero.
Non posso che augurarle “in bocca al lupo” così come mi auguro che chi, magari con molti meno titoli ma più voglia di lavorare, prenderà quel posto possa fare rapidamente un’ottima carriera.
D’altra parte, avendo studiato, posso anche arrivare a comprendere certe aspettative ma, ormai posso dire per tutta la vita, sono stato e rimango dell’opinione che un lavoro, specialmente se oltretutto appaia offrire qualche possibilità di carriera, non si rifiuta mai qualsiasi possano essere le condizioni di partenza; il successivo emergere resta solo una questione di voglia di lavorare e di capacità di mettere a frutto gli studi fatti in precedenza e di cui ci si gloria.
Sembra poi che questa storia del rifiuto del lavoro sia abbastanza generalizzata e che, specialmente in certe zone della penisola, si preferisca al lavoro il sussidio di disoccupazione. In altre parole quello che manca non è forse tanto il lavoro quanto l’umiltà e la voglia di lavorare.
Mi domando se questi atteggiamenti siano dovuti al permanere di residui della parte deteriore del sessantottismo quando c’era chi sosteneva che qualsiasi cittadino, dalla nascita in poi, aveva il diritto di essere mantenuto dallo Stato; allo stesso modo il diritto allo studio veniva considerato un diritto al diploma (o alla laurea) con tanto di sei (o diciotto) politico agli esami. In altre parole un’orgia di diritti senza nemmeno il sentore di qualche dovere.
Sono disposto a sostenere che, ad ogni livello, gli studenti migliori, finchè si conservano tali, dovrebbero essere mantenuti agli studi dallo Stato, che si costituirebbe così una solida base per il proprio futuro, e questo, è ovvio, indipendentemente dalla condizioni economiche delle famiglie di provenienza. Sono altrettanto certo della necessità dell’istruzione obbligatoria, almeno fino alle scuole medie inferiori e forse anche oltre che, se da un lato ha avuto il difetto di quasi privarci degli abilissimi ed utilissimi artigiani che fin da piccoli imparavano il mestiere dai genitori o nelle botteghe, dall’altro lato ha avuto l’enorme pregio di tenere gli stessi giovanissimi il più possibile distanti da certi diffusi oscurantismi dando loro una seppur piccola base culturale sulla quale fondare indipendentemente i propri ragionamenti; ritengo che sia proprio per questo che molti giovani di oggi mostrino, a mio modo di vedere giustamente, un notevole distacco dalla misera politica dei nostri attuali partiti.
Ma, come sempre, ogni medaglia ha il suo rovescio ed essendo sempre stato un propugnatore dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio, ho sempre temuto che il facile raggiungimento di certi traguardi potesse dar origine ad ingiustificate aspettative.
Quel “facile” mi deriva dall’aver notato un certo lassismo, sia nelle scuole medie inferiori che in quelle superiori ed anche purtroppo nelle università, le quali mi sembrano appunto diventate diplomifici con percentuali di “maturati” talmente elevate da suscitare qualche sospetto. Forse il lassismo è dovuto ad una insufficiente selezione degli insegnanti a sua volta legata alla miseria, come ho già detto in un’altra nota, degli stipendi, ma oltre a questo, per l’università, si è aggiunto il deleterio diffondersi delle lauree triennali che hanno creato una marea di, secondo me, pseudo-dottori dall’altisonante titolo ma dall’incerta competenza. E credo siano principalmente questi che, magari affetti anche dalla poca voglia di lavorare ed illudendosi di avere, al solito, dei diritti, rifiutano poi orgogliosamente lavori anche ottimi in prospettiva. Forse la miseria che ci sta piombando addosso limiterà questo fenomeno e molti smetteranno di fare gli schizzignosi, a questi auguro ogni fortuna; per i restanti propongo venga abolito il sussidio di disoccupazione, avendo rifiutato un lavoro non ne dovrebbero avere il diritto.
Non ricordo chi abbia detto che cominciavano ad esserci troppe zappe tolte all’agricoltura, ma aveva ragione.

Attilio Taglia










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