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L’aggettivo sciabordito è del vernacolo senese e, secondo me, non trova un esatto equivalente italiano. Non l’ho trovato nel Devoto-Oli e non credo sia nemmeno in altri vocabolari. Forse il suo equivalente inglese è “absent minded”.
Io sono vecchio, allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel ’39, avevo sei anni. Quindi alla connata sciaborditaggine si è aggiunto il normale deterioramento dovuto all’età. Perciò quello che dico va preso con le molle. Non ho nessuna intenzione di raccontare la mia vita peraltro piuttosto uniforme e quindi di poco interesse. Ma, scorrendo negli anni e venendo fino ad oggi ed andando anche oltre con l’immaginazione, alcune cose mi hanno colpito; su queste mi sono soffermato ed ho creduto di ragionare. Ed è quanto cercherò di raccontare saltando di palo in frasca e da un tempo all’altro a seconda di come la memoria me lo ripresenta o come qualche richiamo me lo fa tornare in mente.


n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 - Firenze, 16 Luglio 2012

Assistenza sanitaria
& Medicina...

  Mi risulta che la Lombardia e la Toscana siano le due regioni italiane caratterizzate dalla migliore assistenza sanitaria, ed oltretutto senza gli spaventosi buchi di bilancio caratteristici di quasi tutte le altre regioni. Non posso garantire per la Lombardia, ma, avendo avuto, negli ultimi anni, diverse volte la necessità di essere ricoverato in ospedale, posso dire qualcosa, per esperienza diretta, su come sono stato trattato, bene, e su come mi sono sentito protetto negli ospedali di questa città. Posso già anticipare che mi auguro (ma ne ho conferma indiretta) che lo “standard” che mi è toccato sia tale anche per i più sperduti paesini della regione; questo anche senza tener conto del fatto che ormai quanti ne hanno bisogno riescono ad essere, e sono, rapidamente trasportati nei centri meglio attrezzati.
Venendo al dettaglio, e faccio notare che non sono uno di facile contentatura, ritengo che l’unica parte che dovrebbe essere potenziata è quella dei pronto soccorso dai quali si deve necessariamente passare prima di un eventuale ricovero; lì, se non si è da codice rosso, le attese in barella prima delle visite possono anche durare molto a lungo (parlo di molte ore) così come sono spesso altrettanto lunghe, in caso di ricovero, le successive attese per il trasporto al reparto. D’altra parte bisogna anche riconoscere che, oltre al fatto che i pronto soccorso sono spesso affollati, per ogni malato che entra, ci sono da effettuare accertamenti ed analisi che portano via tempo così come, talvolta, può non essere facile trovare immediatamente un posto letto in un reparto.
Non essendo un medico e soprattutto non un ospedaliero, non saprei cosa suggerire, per migliorare questa situazione, oltre a generici ampliamenti e razionalizzazioni. Ma, una volta al reparto, almeno per tutti quelli in cui sono stato, mi sono sentito al sicuro: ho sempre trovato competenza, cortesia e disponibiltà sia del personale medico che di quello paramedico; in altre parole, non ho mai visto o sentito trattare qualche paziente in modo scortese o con sufficienza, anzi semmai il contrario, nella ricerca di tenere su qualcuno con qualche bonaria presa in giro o con qualche battuta scherzosa. Devo anche dire che l’assai spesso criticato vitto ospedaliero mi è parso invece ragionevolmente buono e variato; devo spiegare quel “ragionevolmente”: certo non è da aspettarsi che nel risotto di mare ci siano degli scampi o che il riso sia delle qualità più pregiate o che la pasta delle minestre in brodo o delle paste asciutte sia al dente ma brodi e condimenti sono in genere di buona qualità anche se, necessariamente, carenti un po’ di sale per i miei gusti; inoltre bisogna anche considerare il numero dei “pasti” che devono essere servirti due volte al giorno e questo è difficile possa contribuire ad un’altissima qualità.
Ho anche avuto modo di constatare con piacere che i medici, esaurite le visite e gli altri doveri e magari dopo un frettoloso caffè alle macchinette e talvolta una vietatissima sigaretta in qualche terrazza esterna, sono invariabilmente, nelle stanze loro riservate, o a discutere su questo o quel “caso” oppure davanti ai loro computer per approfondire conoscenze o per arricchirsi di novità. Purtroppo, data anche la premessa iniziale, non credo che abbondino nel nostro paese strutture al livello di quelle che ho “frequentato” io, ma credo che, magari lentamente ed abolendo il vizio di creare monumenti nel deserto per compiacere qualche politico locale, il miglioramento avvenga ovunque.
Devo aggiungere però una nota dolente, e stavolta non si tratta del livello degli ospedali o della passione e competenza dei medici ma delle basi stesse, ancora fondamentalmente empiriche, su cui si appoggia la medicina. Non che l’empirismo sia da condannare, tutt’altro, infatti lo si può considerare alla base del progresso, ma, a livello personale, ritengo che la medicina ne sia ancora troppo impregnata e questo mi impedisce di ritenerla una “scienza”; semmai, almeno per ora, la posso considerare un’utile raccolta di consigli da seguire “in caso di”. Ma mi giungono voci che forse mi costringeranno, con enorme piacere, a rimangiarmi quanto appena detto: sembra infatti che, in quei beati paesi in cui la ricerca scientifica è finanziata e promossa invece di essere addirittura derisa e lasciata senza fondi, alcuni biofisici, biochimici, biologi e, probabilmente anche medici siano già in grado di “costruire” dei virus opportunamente strutturati al fine di combattere dall’”interno” alcune delle malattie che affliggono il genere umano. Questo è senz’altro da considerare un modo scientifico di affrontare il problema medico.
L’altro metodo sufficientemente scientifico (e che viene correntemente impiegato ora) è quello di basare le cure sulle statistiche; questo ha però due difetti fondamentali: il primo, enorme, è dovuto alla Natura stessa che ha fatto sì che ogni individuo sia un universo a sè e quindi solo limitatamente confrontabile con i suoi simili, il secondo è legato alla struttura stessa del metodo statistico che, per assicurare un buona affidabilità, deve essere basato su grandi numeri di “oggetti” comparabili. Ora, da questo punto di vista, ricerche mediche abbastanza credibili potrebbero essere svolte solamente in Cina, in India ed in qualche altro paese sufficientemente popoloso, ma si potrebbero poi applicarne con fiducia i risultati ad altre popolazioni che differiscono fondamentalmente per clima, alimentazione ed abitudini di vita? Come ho detto sopra, ritengo che gran parte dei metodi di cura impiegati in Italia si basino su statistiche effettuate all’estero o su altre locali ma effettuate su campioni esigui in numero e quindi necessariamente poco affidabili, questo mi porta a riflettere su quanto sia grande, per un medico, pur bravo e competente, la probabilità di errore.
Siccome vedo estendersi l’abitudine di denunciare questa o quella struttura o addirittura questo o quel medico per presunti errori, vorrei che i tribunali cui è affidato successivamente il giudizio, prima di condannare, accertassero, con ragionevole sicurezza, quanto dell’accaduto sia dovuto veramente ad incompetenza e trascuratezza e quanto invece all’inaffidabilità che mina la “medicina”.

Attilio Taglia










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