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Nessuno
ha il monopolio
della morale
Sulla morale, nei secoli passati ed oggi, si sono scatenati tutti, uomini di chiesa, filosofi, intellettuali, politici ed hanno costruito un fantastico aggregato di castelli in aria dei quali vivono e dai quali indottrinano. Dimenticando che, dai primordi dell’uomo sapiens in poi, la morale nasce da esigenze pratiche e terrene di organizzazione della comunità.
Dal bisogno razionale, cioè, di regolamenta- re la convivenza in un quadro di comporta- menti e valori che rispondono al bisogno pragmatico di fare funzionare il gruppo nel miglior modo possibile, date certe premesse ed assegnati certi fini.
Due facili esempi, esposti sinteticamente con parole semplici, tra i tanti possibili.
Non bisogna uccidere il vicino della propria tribù, della propria città, del proprio stato, perché questo creerebbe reazioni, vendette, faide, ingiustizie. Ed indebolirebbe la tribù primitiva ed altre comunità umane, dove la forza, in contrapposizione ad altre, è rappresentata dal numero dei suoi membri.
Ma si possono uccidere quelli della tribù, della città, dello stato avversari. Nonché quelli che praticano altre religioni.
Di conseguenza, il rispetto per la vita e la sua sacralità sono valori relativi e, in quanto tali, non possono avere una oggettiva valenza assoluta e spirituale se si discrimina a seconda di chi si uccide.
Date le caratteristiche fisiologiche e l’aggressività potenziale dell’animale uomo in materia sessuale, ogni comunità, dai popoli più primitivi in poi, organizza e regolamenta, nel modo che ritiene più confacente, i comportamenti sessuali e le unioni tra uomini e donne. Per la serenità del gruppo, per evitare disordini comportamentali nocivi alla collettività, per tutelare figli ed altro.
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Ma ogni comunità ha idee diverse e contrastanti in materia, che evolvono nel tempo, quindi le regole relative ai rapporti tra donne ed uomini sono anch’esse relative e non assolute.
Nel fluire delle civiltà e nel maturare delle religioni, il fattore divino diventa un tessuto connettivo indispensabile all’organizzazione della società ed ai valori che essa si è data. Le regole di comportamento delle comunità vengono quindi inglobate in un contesto religioso, anche per renderle più efficaci. Bisogna rispettarle perché così vuole la divinità. E le chiese si appropriano conseguentemente di queste regole
che trasformano in valori supremi ed assoluti conferendo loro il crisma della “sacralità “.
Veniamo ai giorni nostri. Così come le comunità, da quelle primitive a quelle più evolute, si sono date pragmaticamente regole di convivenza, anche alle società democratiche e laiche, come la nostra, spetta di confermare, modificare, reinventare regole di comportamento su questa o quella materia. Nella più assoluta libertà di ognuno senza l’imposizione di diktat religiosi mascherati da morali assolute o valori imprescindibili.
Se nella coscienza di alcuni cittadini vi è la certezza fideistica che certi valori siano assoluti o doveri imprescindibili di coscienza essi, in tutta libertà, si comporteranno di conseguenza al momento di esprimere voti o pareri. Ma non possono imporre ad altri, con motivazioni fideistiche o simili, le loro convinzioni se la maggioranza ha idee diverse. Indipendentemente da quello che dicono le chiese che hanno dogmatizzato regole valide un tempo, ma che possono essere ora contrarie, se non dannose agli interessi delle comunità ed alla salute degli individui. Spetta ai cittadini, alle assemblee legislative decidere.
Ciò premesso, che titolo ha la chiesa di Roma di voler imporre a cittadini democratici questo o quello in materia di morale?
E’ stata eletta ? No.
Ha avuto mandato dai cittadini? No.
C’è scritto in libri che considera sacri e voce di dio? No.
Nulla di ciò che, al giorno d’oggi, è oggetto di tentata imposizione da parte della chiesa in materia di rispetto per la vita, di unioni matrimoniali, di rapporti sessuali e di tanto altro è scritto in quei libri nei termini con i quali la chiesa di Roma li sbandiera come valori assoluti.
E allora?
E’ solo la volontà di una potenza terrena di crearsi continuamente uno spazio, materiale e spirituale, per contare, per avere peso, sfruttando la religiosità dei credenti nella fede della quale si dice, impropriamente, unica depositaria.
E sfruttando il suo peso politico che, anche grazie alla piaggeria di troppi politici e giornalisti, le consente di farsi sentire.
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Ettore Falconieri, genovese, operatore finanziario a Ginevra, ha collaborato in gioventù con Giovanni Ansaldo alla redazione de Il Mattino di Napoli. Ha pubblicato Il RITORNO DEI LUPI (Lombardi), una novella filosofica e ABBASSO I CHIERICI - Arringa di un incolto per una filosofia di tutti (Archinto). In I CHIERICI SIAMO NOI - Le religioni dovrebbero fare un passo indietro (SeBook ed Ex Libris - Simonelli Editore) Falconieri ritorna, sulle riflessioni già sviluppate nel precedente «ABBASSO I CHIERICI».
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